La Gazzetta dello Sport, 11 dicembre 2020
Basket, addio alla Virtus Roma
Il comunicato dell’addio è arrivato ieri mattina, il giorno dopo aver avvisato del ritiro Fip e Lega. L’ennesima stranezza di una società come la Virtus Roma, guidata dal patron Claudio Toti, che boccheggiava da anni, complice anche una situazione dell’impiantistica nella Capitale da brividi. «Tale sofferta decisione è stata presa dopo aver constatato l’assoluta e oggettiva impossibilità di sostenere i costi necessari per portare a termine la stagione – si legge nella nota firmata Virtus Roma —. Il tentativo di trovare soggetti disposti ad acquisire o a sostenere in qualunque modo la società è stato svolto in ogni direzione, in Italia e oltre oceano, ma nessuno di questi, nonostante le vantaggiose condizioni proposte, ha dato esito positivo, probabilmente avendo constatato l’impossibilità di generare ricavi. È forte il rammarico, sia in considerazione della storia sportiva della società, sia della sua importanza per la città di Roma, sia per il disagio creato allo svolgimento del campionato. Tuttavia, la decisione è stata resa inevitabile dagli eventi».
Amarezza Datome
Già ieri la Fip ha ufficializzato il ritiro dalla Serie A, infliggendo alla società un’ammenda pecuniaria di 600mila euro, come previsto dai regolamenti. Una mazzata che di fatto elimina la possibilità di ripartire nella prossima stagione dal primo campionato a libera partecipazione, nel Lazio la Promozione. Non pagando la mega ammenda è chiaro che la società perderà l’affiliazione finendo per essere radiata. Tra qualche mese, così, non esisterà più la gloriosa Virtus Roma che ha fatto ammirare nella Capitale fior di campioni, da Larry Wright (protagonista negli Anni 80 della vittoria dello scudetto e dell’allora Coppa dei Campioni), a Carlton Myers e Dejan Bodiroga, con quest’ultimo che finì la carriera proprio a Roma. Fino all’ultimo grande giocatore visto in maglia romana, Gigi Datome, che in un post su Instagram e una foto in maglia Virtus del 2013 ha esternato tutta l’amarezza del momento: «Si chiude un capitolo della pallacanestro italiana e un capitolo della mia vita. Il pensiero va a chi viveva di Virtus, lavorativamente e sentimentalmente. Ricordo le risate (in buona fede) dei presenti alla mia conferenza stampa d’addio, quando alla domanda: “Verrai a giocare a Roma quando tornerai in Italia?” Risposi che speravo solo che Roma sarebbe rimasta in serie A fino a quel giorno. Non è facile nè scontato portare avanti una società, specialmente in questo momento storico. Che sia perlomeno un campanello d’allarme per tanti. Sempre daje Virtus. E grazie, di tutto».
Visibilità
Valerio Bianchini è il coach degli anni d’oro e dei trionfi in Italia e all’estero. La fine della Virtus non l’ha colto di sorpresa. «L’autoretrocessione in A-2 del 2015 – dice – è già stato un importante campanello d’allarme perché a Roma il secondo campionato non offre visibilità. Piuttosto, mi ha sorpreso leggere nell’ultimo periodo di presunti acquirenti: ma chi si sarebbe imbarcato in un affare a perdere? Senza campo di gioco, senza vivaio, senza tifosi. Purtroppo poi Toti ha sempre ignorato tutto il passato della Virtus. Per dire, a Pesaro e Cantù non dimenticano mai di festeggiare le grandi ricorrenze, qui nulla. Le glorie dovrebbero diventare nutrimento per le nuove generazioni, invece... L’unica scusante è relativa al campo di gioco che in una città di 3milioni di abitanti non esiste. Anche se va pure detto che un costruttore come Toti in 20 anni non è riuscito a dotarsi nemmeno di un “pallone”». Dal coach dei successi all’ultimo della storia, Piero Bucchi. «Spiace che sia finita così, non ce lo meritavamo. Abbiamo avuto l’illusione di un cambiamento dopo la promozione, ma questi mesi sono stati veramente difficili. Un saluto e un ringraziamento ai tifosi, allo staff e ai collaboratori».