Il Sole 24 Ore, 11 dicembre 2020
Quei 4.300 miliardi ancora fermi sui fondi monetari
Ridurre il più possibile i rendimenti dei titoli di Stato in modo da incentivare un’impiego della liquidità più favorevole al rilancio dell’economia. Questa è la ratio dietro alle politiche monetarie espansive varate dalle banche centrali in tutto il mondo per far fronte alle conseguenze della pandemia. Se è vero che di recente la svolta sui vaccini ha spinto gli investitori a tornare a rischiare comprando in Borsa tutti quei settori che erano stati più colpiti dalla pandemia c’è ancora un ammontare considerevole di liquidità parcheggiata nei fondi monetari. Ad oggi – calcola di Barclays – stiamo ben oltre i 4300 miliardi di dollari. Si tratta di numeri nettamente superiori ai livelli pre-Covid quando in media gli asset in gestione dei monetari viaggiavano sui 3mila miliardi di dollari.
Eppure la liquidità parcheggiata dagli investitori nei mesi turbolenti della crisi Covid non è destinata a restare ferma ancora a lungo. E il mercato azionario – è l’opinione degli analisti di Barclays – sarà il probabile beneficiario dei flussi di capitale. In primo luogo perché le sue valutazioni sono più favorevoli se rapportate ai bond. In secondo luogo perché nel contesto attuale l’equity ha il vento in poppa e il rally dell’ultimo mese e mezzo è destinato a consolidarsi nei mesi a venire. Questa peraltro è l’aspettativa di buona parte delle case d’affari che in queste settimane stanno pubblicando i report previsionali sul 2021.
La consapevolezza che ci sia ancora abbondanza di carburante in serbatoio (la liquidità parcheggiata nei fondi monetari) gioca a favore di quanti scommettono nel consolidamento dell’azionario grazie a quel ritorno alla normalità che si spera possa concretizzarsi con il vaccino. «La nostra convinzione è che il controllo della pandemia combinato con il supporto di politiche monetarie e fiscali favorevoli possa contribuire a un netto miglioramento della situazione per i settori ciclici» scrive Barclays che stima un potenziale di crescita del 13% per i mercati azionari europei.
Per Ubs non è da escludere che nei mesi a venire «l’Europa possa fare meglio di Wall Street» proprio in ragione del maggior peso, su questa sponda dell’Atlantico, dei comparti più esposti alla congiuntura. Banche, energia, industria e servizi hanno recuperato molto nell’ultimo mese e mezzo anche se i livelli pre-crisi restano lontani. Ad oggi il recupero è solo dettato dalle aspettative che si traduce in un incremento delle valutazioni (rapporto prezzo/utili). Per il futuro – stima Barclays – c’è da mettere in conto un miglioramento dei fondamentali. Eppure non tutti i settori ciclici sono destinati a recuperare terreno allo stesso modo: «Le restrizioni anti-contagio non saranno tolte dall’oggi al domani – spiega Peter Westaway, capo economista per l’Europa di Vanguard – e non crediamo che che i settori in cui il contatto umano è maggiore (turismo, ristorazione, compagnie aeree) potranno tornare ai livelli pre-Covid tanto presto. Sul lungo termine poi non sappiamo ancora in che modo le abitudini di consumo risulteranno condizionate anche nel post-emergenza. Torneremo a viaggiare, andare al ristorante, ai concerti come facevamo prima? Ad oggi non lo possiamo sapere».
La fine della pandemia sarà accompagnata dalla euforia che tipicamente segue gli eventi traumatici come le guerre oppure le nostre abitudini di consumo risulteranno inevitabilmente condizionate? Le transizioni imposte dal virus (si pensi al lavoro da remoto o agli acquisti online) sono destinate a rimanere? Dare una risposta non è facile. C’è ancora un significativo grado di incertezza, che riguarda sia l’evoluzione della pandemia sia le cicatrici economiche da virus, con cui bisognerà fare i conti nei mesi a venire. E se è vero che oggi il vento spira a favore bisognerà tenersi pronti a gestire eventuali imprevisti che possano scombinare il quadro e far saltare le previsioni.