La Stampa, 11 dicembre 2020
Intervista a Fernando Aramburu
Il mondo post-Coronavirus vedrà «un trionfo della commedia, come è accaduto dopo guerre e carestie». Fernando Aramburu scorge la luce in fondo al tunnel della pandemia («Correrò a vaccinarmi appena sarà possibile») e attende con ansia il ritorno alla normalità: «Non vedo l’ora di poter andare a teatro con mia moglie». Lo scrittore nato a San Sebastian 61 anni fa - oltre 170 mila copie vendute in Italia con Patria (Guanda), un milione in Spagna - è protagonista oggi di un incontro organizzato dal Premio Strega Europeo, vinto nel 2018. Tornerà in libreria l’11 febbraio con Il rumore di quest’epoca. Ricordi, aneddoti e riflessioni (Guanda), una selezioni degli articoli scritti negli ultimi anni per il quotidiano El Mundo.
Signor Aramburu, è stufo degli incontri in streaming?
«Da un lato sono comodi, mi evitano i tour promozionali. Dall’altro, però, sono molto invasivi: ho moltissime richieste e mi collego da casa, che perde la condizione di rifugio».
Come sta vivendo il secondo lockdown?
«Non patisco le restrizioni. Sono un tipo casalingo, rinchiuso scrivo e leggo più che mai».
Al Salone di Torino si è parlato di Vita Nova. Che ruolo ha avuto Dante nella sua formazione letteraria?
«La Divina Commedia è entrata presto nella mia vita: quando ero adolescente si studiava a scuola. Come Omero, Virgilio e Boccaccio, per me Dante è stato un guardiano che mi ha aperto la porta di casa della letteratura».
Patria le ha regalato un successo mondiale improvviso. Ha condizionato la sua vita?
«Non nego che il successo ha i suoi vantaggi: ora mi conoscono anche fuori dalla Spagna e per la prima volta vivo una serenità economica. Ho provato a gestirlo con tranquillità. Ma ci sono alcuni fastidi legati all’esposizione mediatica: gli inevitabili attacchi, le continue interruzioni della scrittura. Comunque nulla che mi tolga il sonno».
Patria è uscito nel 2016. Da allora non ha pubblicato romanzi: è il prezzo da pagare dopo un capolavoro?
«Non spetta a me giudicare Patria come un capolavoro, però posso dire che è un’opera viva: innesca ancora dibattiti. Ho fatto bene ad ascoltare il mio editore e i miei amici: mi hanno consigliato di non pubblicare romanzi per qualche anno. Quest’estate il veto cadrà: ho un libro pronto e uno quasi terminato».
Ci può anticipare qualcosa?
«Posso solo dire che parlano di uomini e donne».
C’è stato un momento in cui molti erano convinti che saremmo usciti migliori dalla pandemia. Quale sarà la Vita Nova dopo il virus?
«L’istinto mi dice che trionferà la commedia. È sempre stato così dopo le guerre, le carestie, le epidemie. Tutti vogliono dimenticare, recuperare il tempo perduto, uscire di casa, fare viaggi, ridere e ballare. Di questo non ho alcun dubbio».
Qual è il primo luogo della lista per quando si potrà tornare a viaggiare?
«Madrid. Mi piacerebbe andarci con mia moglie, tornare insieme a teatro, comprare libri e cibo spagnolo e incontrare di nuovo gli amici».
Lei si è trasferito in Germania nel 1985, quando l’Unione europea non esisteva. Vista da Hannover, cos’è: una chimera, un progetto che non decolla, un fallimento?
«L’Unione europea è il frutto naturale della tradizione umanista europea e ha ottenuto quello che sembrava impossibile: fermare le guerre. Oggi l’Europa è uno spazio di cultura e benessere: ne è la prova l’incessante arrivo di cittadini da altri continenti. Ovviamente ha i suoi problemi. Per gli europei che come me non vivono nel Paese d’origine, i vantaggi dell’Ue si percepiscono quotidianamente. È bellissimo non doversi sottoporre ai controlli del passaporto quando si attraversa una frontiera: non mi viene in mente una forma migliore di benvenuto».
Crede che il populismo, al di là delle evoluzioni politiche, abbia influenzato la letteratura e l’arte?
«Per me i populismi non sono in grado di lasciare alcun segno. Per un motivo molto semplice: sono superficiali. Si basano su slogan, spiegazioni che capisce anche un bambino e le minuscole verità di Twitter».
Da Roma a Berlino, abbiamo visto sfilare negazionisti e no-mask. Crede che siano prodotto dei populismi?
«L’unica cosa che so è che queste persone farebbero bene a chiedere l’aiuto di uno psichiatra. Appena sarà possibile, io correrò a vaccinarmi».
Questo tragico 2020 ci ha privato di molti personaggi illustri, non solo della cultura.
«La morte inaspettata di Luis Sepulveda mi ha colpito molto. In Spagna condividiamo la stessa casa editrice, lo conoscevo personalmente e ci eravamo incontrati per l’ultima volta a Barcellona nell’estate 2019. Con Carlos Ruiz Zafon non ho mai avuto occasione di parlare, ma mi è dispiaciuto molto, anche per la sua età».
La morte di Maradona ha commosso ma anche diviso il mondo. Per lei, appassionato di calcio, cosa ha rappresentato?
«Fuori dal terreno di gioco, nulla. Riconosco il suo valore come giocatore, ho ammirato le giocate geniali che inventava. Ma non mi sembra che la sua biografia contenga pagine degne di imitazione».
In questi anni ha vinto moltissimi premi in tutto il mondo. Quale l’ha resa più orgoglioso?
«In realtà il sentimento principale è la gratitudine. In due occasioni sono stato premiato dagli alunni di scuole spagnole: mi ha molto emozionato. In Italia sento molto affetto: ho ricevuto quattro premi importanti, oltre al sigillo della città di Milano».
Quale collega candiderebbe al Premio Strega Europeo nel 2021?
«Nessun dubbio: Manuel Vilas».