la Repubblica, 11 dicembre 2020
I 22 piccoli inuit usati dalla Danimarca in un test sociale
Molti Paesi hanno ancora conti aperti col loro passato, a volte crudele, di potenze coloniali. Anche la piccola Danimarca. Ma ora, una giovane donna al governo, la premier socialdemocratica Mette Frederiksen, 70 anni dopo un pazzesco esperimento etnico-sociale, chiede scusa agli inuit, abitanti della Groenlandia, la più grande isola del mondo, territorio autonomo danese ma con un proprio governo.
La storia inizia nel 1951: 22 bambini inuit furono sottratti dalle autorità alle loro famiglie e portati in Danimarca per essere cresciuti come piccoli danesi. Il senso del progetto era questo: assimilarli alla cultura europea. Nel piano originale, una volta divenuti adulti nella madrepatria, avrebbero dovuto essere riportati in Groenlandia come inuit più evoluti e modernizzare il loro popolo. Non fu così: 16 di loro finirono in un orfanotrofio, la maggioranza non rivide mai la famiglia. Oggi solo sei di loro sono ancora in vita, tra cui Helene Thiesen che nel 2015 ha raccontato alla Bbc la triste storia.
Quell’anno il piroscafo danese MS Disko salpò da Nuuk, la capitale groenlandese, con i 22 bimbi a bordo. I piccoli erano stati selezionati da insegnanti danesi per «creare un nuovo tipo di cittadino groenlandese, civile e moderno», per poi aiutare a gestire le relazioni tra la colonia e la madrepatria. Molti erano stati strappati alle famiglie contro la volontà dei genitori. Helene partì con l’assenso della madre, vedova con tre figli, che le disse: «Non essere triste, la Danimarca è un paradiso».
Andò male. In Danimarca i 22 affrontarono fin dall’inizio serie difficoltà. Prima per imparare il danese, poi nel vano tentativo di integrarsi. Fu vietato loro di mantenere ogni contatto con le famiglie in Groenlandia. Crebbero tristi e soli.
A lungo, quei 22 “rapiti”, divenuti nel frattempo adulti, chiesero invano le scuse della Danimarca. Ci sono voluti 70 anni, ma ora Mette Frederiksen ha finalmente pronunciato poche parole decisive: «Non possiamo cambiare quanto è accaduto, ma dobbiamo riconoscere la nostra responsabilità e chiedere scusa a quelle persone di cui avremmo dovuto curarci, cosa che non facemmo ». «Queste scuse valgono tutto», ha detto Helene. Ma nessuno potrà ridarle una vita perduta. Helene seppe del motivo per cui era stata separata dalla famiglia solo a 52 anni: non è più riuscita a riannodare un rapporto con la madre. Anche gli altri bimbi si sentivano oppressi «da un senso di perdita irreparabile».