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 2020  dicembre 10 Giovedì calendario

Periscopio

Nei prossimi anni saremo quasi tutti «reazionari» perché tutti (ciascuno a modo proprio) finiremo per rimpiangere la «Società signorile di massa» che il Covid ha sgretolato. Luca Ricolfi. Il Riformista.
L’era dei rinvii, delle mezze misure, degli espedienti ingannevolmente consolatori, dei ritardi è da considerarsi chiusa. Ora inizia il periodo delle azioni che producono delle conseguenze. Winston Churchill.

Giuseppe Conte dovrebbe sapere che da casa non lo si guarda più con la stupefazione di sei mesi fa, quando, smarriti, galleggiavamo in un film di fantascienza, ci consolavamo cantando dalle finestre o applaudendo all’ora prestabilita medici o infermieri. Conte dovrebbe sapere che i suoi modi di seta, morbidi e leggeri, furono incantevoli ma non incantano più e la leggerezza è armai la misura del suo spessore. Il ritratto sociologico che ci ha fatto l’ultimo Rapporto Censis è quello di un’Italia incattivita dalla pandemia che guarda Conte da casa e comincia a puntare il dito nei suoi confronti. Mattia Feltri. La Stampa.

Alle 8 della sera, ogni sera, va in scena, in tv, la recita, lo spettacolino. Polvere di stelle con cipria giallo rossa. Come al circo, compare un Palazzo coi fari di scena bianco rosso e verdi. È la dimora delle Frecce Tricolori. Eravamo abituati al servilismo dei Tg ma qui siamo a una forma di regime assiro-babilonese, temperato solo dal ridicolo. Poi si vede lui, il Ninì Tirbusciò di Palazzo Chigi che corre, scende le scale, fa tutto in velocità, parla, posa, recita, fa finta di governare e decidere. Marcello Veneziani.

La sovranità illusoria in presenza di una doppia dipendenza (Urss e Usa), in atto in quest’ultimo dopoguerra in Italia, ha trascinato il Paese verso la doppiezza, l’ambiguità e l’astrazione, una cultura già abbastanza portata alla doppiezza, all’ambiguità e all’astrazione. Solo un personale politico moralmente e intellettualmente mediocre poteva adattarsi alla finzione e adottare quel linguaggio insignificante e astruso che equivale alle frasche con cui i cacciatori coprono i loro trabocchetti. Saverio Vertone, L’ultimo manicomio. Rizzoli, 1992.

Dobbiamo temere tutti i processi di concentrazione e di standardizzazione, vengano essi dal dominio del mercato, da un Stato burocratico centralizzato, da un monopolio comunicazionale. Bisogna fare ogni sforzo per far rinascere le diversità politiche, culturali e produttive di ogni paese, di ogni popolo, dando spazio all’autogoverno locale con strutture federali leggere, frenando il potere delle strutture sovranazionali. Francesco Alberoni. Il Giornale.

Il modello delle nostre comunità per drogati è la segregazione? Macché. La comunità è una piccola repubblica, ciascuno è libero di entrare come di uscire. Nessuna costrizione. Però, una volta accettato lo schema, bisogna adeguarsi. Da noi non passano giornali, niente radio, né tv: perché costituirebbero una cinghia di trasmissione tra il mondo e la nostra casa, introducendovi degli elementi ansiogeni. Padre Eligio (Vittorio Feltri). Libero.

«È stato il nonno Frassati, anima della Stampa prefascista, a spingerti al giornalismo?». Lui mi sconsigliava. È un mestiere per gente moralmente insana, diceva. Lo feci di nascosto. Prima su giornali polacchi, poi italiani. Jas Gawronski, giornalista (Giancarlo Perna). Libero.

Negli archivi sovietici o meglio nei documenti rimasti, dopo le varie «ripuliture», sono state trovate prove inconfondibili sui progetti di avvelenamento di numerosi capi politici e di governo occidentali, fra cui Hitler, Mussolini e Churchill. Fra i tanti misteri anche quello della morte di Raul Wallemberg, il diplomatico svedese inviato a Budapest, dove riuscì a salvare migliaia di ebrei ungheresi. Venne trovato cadavere in una cella della Lubjanka. Vi si trovano descritte anche le strategie delle spie russe nei paesi dell’Est, che hanno collezionato numerose vittime (col veleno) in Romania, in Bulgaria, in Iugoslavia, in Cecoslovacchia. Aldo Forbice. LaVerità.

Qualche volta, noi chirurghi, notiamo che il cervello è segnato da ampi solchi. Non sono altro che i buchi lasciati dai tanti neuroni bruciati dalla droga. Oggi sappiamo che l’abuso protratto di droghe può provocare nel cervello devastazioni molto simili a quelle che si vedono nelle persone anziane o a quelle che si associano alla più grave demenza senile. Giulio Marra, neurochirurgo (Roberta Scorranese). Corsera.

Dopo trent’anni di servizio, Drogo-Buzzati è diventato maggiore, vicecomandante della Fortezza Bastiani (ne Il deserto dei tartari). Una malattia al fegato lo mangia da dentro, e lo costringe a tornare in città proprio quando il nemico invisibile manovra, e si avvicina la guerra che avrebbe giustificato tutta la vita trascorsa in quell’avamposto sul grande nulla. Buzzati, per fortuna sua e nostra, non seguirà il destino del suo alter ego letterario: il Corriere del dopoguerra non sarà la sua Fortezza Bastiani e anzi gli concederà grande visibilità, fino a farlo diventare una firma tra le più celebrate del giornale. Dino Buzzati, Maurizio Pilotti. Libertà.

Tanto mio padre, ingegnere ferroviario, era razionale e conservatore, quanto io ero un empirista di sinistra. Della gente di sinistra aveva paura. Ne temeva il tono saccente e perentorio. Aveva fatto l’esperienza con me. Il fumo dei discorsi fumosi lo faceva tossire. Marciava lungo binari regolati da scambi elementari: sì-no, verde-rosso, avanti-indietro secondo la logica del vero-falso. L’imprecisione e il disordine gli sembravano segni di declino. Paolo Guzzanti, I giorni contati. Baldini&Castoldi, 1995.

Naturalmente il suo viso non aveva più l’impavida bellezza da statua, quel naso diritto, quella bocca perfetta da Nefertiti. La pelle, le braccia, i fianchi si erano alquanto allentati, in quel molle languore che coglie i petali duna rosa troppo fiorita. Ma era proprio quel languore, stranamente, eccitava Mario. Come un messaggio disperato della carne. Baciando la sua bocca larga aveva l’illusione di cogliere l’aroma di un vino a lungo fermento, quel sapore concentrato che ha solo l’uva appassita. Nantas Salvalaggio, Il salotto rosso. Mondadori, 1982.

Gli avvocati erano uomini massicci e gravi, titolari di una redditizia professione evocativi di targhe smaltate all’uscio e di clienti che, dopo aver deposto su uno spigolo della scrivania la grossa busta dell’onorario, si allontanano silenziosamente sui tappeti. Giuseppe Marotta, L’oro di Napoli. Rizzoli, 1986.

Il denaro è il bene superfluo più utile. Roberto Gervaso.