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 2020  dicembre 10 Giovedì calendario

QQAN64 “Una passeggiata d’inverno” col guru Thoreau

QQAN64

Era il 1817, un’epoca travagliata per gli Stati Uniti d’America. Da poco era stata sancita la vittoria sugli inglesi. La colonizzazione delle terre indigene si estendeva a macchia d’olio. Quell’anno, a Concord, in Massachusetts, nacque Henry David Thoreau. “Al momento giusto”, disse. In tempo per schierarsi contro la schiavitù e contro il governo americano che di lì a poco avrebbe intrapreso la guerra in Messico.
Thoreau fece della resistenza contro ciò che riteneva ingiusto una ragione di vita. Si ribellò anche alle tasse, perché servivano a finanziare le armi. Per questo trascorse una notte in carcere. Teorizzò la disobbedienza civile non violenta, da cui hanno tratto ispirazione in tanti, inclusi Gandhi e Luther King. Fu riformatore sociale, poeta, scrittore, scienziato, filosofo e naturalista. Una vita breve – aveva 44 anni quando morì di tubercolosi – ma ricca di stupore, riflessione e ricerca. Sin da bambino visse un rapporto simbiotico con la natura. Guardava le stelle per scorgere Dio. Studiò a Harvard, lavorò come geometra, aiutò suo padre nella produzione di matite, amava i lirici greci e latini, tuttavia la più grande passione era la natura.
Viaggiò nei boschi del Maine e a Cape Code. Il luogo forse più caro era il lago di Walden, dove Ralph W. Emerson – massimo esponente del trascendentalismo americano, suo mentore – aveva una proprietà. Fu qui che il 4 luglio del 1845 – anniversario della Dichiarazione d’indipendenza – si trasferì. Era da poco morto suo fratello. Vi restò due anni, due mesi e due giorni. In una capanna. Fu uno scrittore prolifico, ma in vita non godette di particolare fama. Arrivò dopo, quando il pubblicò scoprì che nelle sue opere era racchiuso un vademecum sempiterno della coscienza civica. Se in Resistance to civil government c’è il cuore pulsante dei movimenti per i diritti umani dal 900 a oggi, in Walden, ovvero La vita nei boschi c’è il Thoreau degli ecologisti.
L’opportunità di averne una visione d’insieme la offre Una passeggiata d’inverno, riedito da La Nuova Frontiera. Contiene il racconto omonimo del 1843 e un saggio filosofico Camminare, scritto tra il 1851 e il 1860, ma pubblicato postumo. Alla società americana, lo scrittore contrappone l’armonia della natura così placida, generosa, riparatrice. “Ci ridestiamo nella realtà immobile di un mattino d’inverno. La neve si è posata sul davanzale, come una calda coltre di cotone o lanugine”. Prosa e poesia si fondono. Alla solitudine della passeggiata si frappone la coralità del “noi”. C’è una vita brulicante là fuori. Una sinfonia di “forme fantastiche” in un paesaggio fosco: “Il terreno risuona come legno stagionato e anche i rumori campestri più banali risultano melodiosi”. La natura riequilibra gli squilibri umani. Il vento spazza la corruzione. C’è dolcezza nella serietà della tormenta. Spiritualità nell’inverno. Coerenza, che la società non è in grado di eguagliare.
Al cospetto delle cinciallegre e dei picchi muratori, gli statisti e i filosofi per lui sono una compagnia più volgare. Infatti il saggio successivo si apre con “una dichiarazione estrema e categorica”: alla civiltà dei paladini preferisce la vita selvatica e quell’arte del camminare che consente al male “di curarsi da sé”. Non serve una meta: c’è “un sottile magnetismo in Natura, che ci guiderà nella nostra direzione”. Il selvaggio è all’origine di tutto, anche dello Stato. “Più si è selvaggi, più si è vivi”. Di land grabbing e consumo del suolo non se ne parla ancora, ma Thoreau è lungimirante: “Guai alla cultura umana! – scrive – C’è poco da attendersi da una nazione, una volta che il sostrato vegetale è andato esaurito e a far da concime non restano che le ossa dei padri”. Una passeggiata d’inverno è un libro che, parafrasando l’elegia che Emerson gli dedicò, “dovunque ci sia conoscenza, virtù e bellezza, troverà casa”.