Corriere della Sera, 10 dicembre 2020
Il Nobel Solzhenitsyn in attesa di giustizia
Accadeva cinquant’anni fa. E l’11 dicembre 1970, il Corriere dava la notizia che a Stoccolma re Gustavo Adolfo di Svezia aveva consegnato i Nobel, ma non quello della Letteratura, perché Alexandr Isaevič Solzhenitsyn non era potuto andare a ritirarlo per il veto posto dall’Unione Sovietica. «Lo scrittore – precisava il Corriere — ha trascorso la giornata, solo, nella “dacia” del suo amico Rostropovic, a Zukhovo, presso Mosca, dove invano si sono recati i giornalisti occidentali nella speranza di vederlo». Gli era stato conferito il riconoscimento «per la forza etica con la quale ha proseguito l’indispensabile tradizione della letteratura russa». L’autore di Arcipelago Gulag poté andare a Stoccolma solo nel 1975, dopo l’espulsione dal suo paese, per pronunciare un discorso in cui accusava: «Il nostro secolo ha dimostrato di essere il più crudele di tutti i secoli. Il nostro mondo è dilaniato dalle stesse passioni dell’età delle caverne: avidità, invidia, rabbia, odio...». Nel 1962 Solzhenitsyn aveva esordito in patria con uno stupefacente racconto sulla rivista «Novy Mir», ottenendo un successo clamoroso almeno pari allo stupore dei lettori per un testo che «diceva tutta la verità». Si trattava di Una giornata di Ivan Denisovič, che in Italia sarebbe uscito da Einaudi quasi subito, nel ‘63. E ci sono studi che mostrano quanto La giornata di uno scrutatore di Calvino (stesso anno) sia debitrice di quel magnifico racconto. Nel 1969 la stessa Einaudi pubblicò il romanzo ospedaliero Reparto C, autentico capolavoro di sapore tolstojano. Solzhenitsyn è morto nell’estate 2008. È stato utilizzato pro e contro tutto, preso a modello dagli uni e dileggiato dagli altri sempre per motivi politici. Di quel bailamme resta oggi un’evidenza quasi banale: Solzhenitsyn è uno dei maggiori scrittori del ‘900. Ma c’è qualcuno che ancora lo legge? La crudeltà del XX secolo prosegue nel XXI.