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 2020  dicembre 10 Giovedì calendario

Intervista a Dominik Paris

Dominik «Domme» Paris, ha mai immaginato di vivere in un luogo diverso dalla Val d’Ultimo?
«No, mai. La famiglia è di qui, le radici sono profonde. Che cosa significa? Vuol dire crescere con il senso della natura e delle tradizioni. Siamo indietro su alcuni fronti, ad esempio quello tecnologico, e altre zone sono più aperte: in compenso viviamo il bello della diversità. Quindi: la mia valle è per sempre». 
Un campione a chilometro zero. Nel segno della sintonia, emotiva e umana, con la terra e con la gente. Dominik ricorda il gigante buono di una famosa pubblicità: se il villaggio ha bisogno, lui è pronto a correre per mettere a disposizione il suo fisicaccio («Di lavori pesanti a casa ne faccio un bel po’, diciamo che sono allenato») ma anche un carattere spiritoso, generoso: «Il bello è interagire con la comunità». 
La città proprio non la tenta? 
«Non potrei viverci. Ho provato a farlo per qualche giorno: è bello vedere ciò che offre, ma la vita lì non mi attira. La valle è libertà: esci di casa e decidi cosa fare; se vuoi vedere la gente, vai in paese; altrimenti te ne stai nei boschi. La città condiziona, spinge a usare l’auto; invece da noi ti sposti soprattutto a piedi». 
Essere vicini ad Austria, Germania e Svizzera è uno stimolo? 
«Sì: per il confronto e per prendere il meglio da ciascuno di questi Paesi. Quindi è un vantaggio e la doppia lingua lo accentua. Però ci sono anche aspetti meno positivi: i turisti sono aumentati; è un bene per l’economia, non per la quiete». 
Parlare tedesco è un modo per esaltare il vostro territorio? 
«È un simbolo della nostra cultura e della nostra storia». 
Gli altoatesini dell’Ovest sono differenti da quelli dell’Est? 
«La diversità esiste, dobbiamo anche considerare l’etnia ladina di una Val Gardena. Quelli che abitano nelle Dolomiti sono più aperti: si confrontano con più gente, in Valle Venosta e in Val d’Ultimo c’è meno movimento e siamo più chiusi. La rivalità? Non è marcata, ma secondo me un po’ esiste». 
Dall’Alto Adige spesso piovono critiche sull’Italia: giusto o sbagliato? 
«Ho tanti amici anche di altre zone del Paese che si lamentano della politica e del sistema: un po’ si esagera, ma un po’ no». 
Com’era il Domme bambino? 
«Ero sempre all’aria aperta, non mi piaceva stare in casa. Ho giocato a calcio, ho fatto molti altri sport ma poi è arrivato lo sci che mi ha catturato. Andavo all’oratorio a giocare? No, mai andato: l’oratorio era il bosco». 
Qualcosa da dichiarare sulla scuola? 
«Non andavo male, poi però mi sono perso. Non ero fatto per restare seduto a imparare, a me piaceva muovere il corpo e lavorare. Ma ero bravo in matematica: essendo logica, l’ho sempre sentita come una materia facile. In compenso quando c’era da leggere e da studiare, ecco che cascava l’asino...». 
Un bel giorno suo padre la sbattè in una malga a rinsavire. 
«In realtà sono stato io a mettermi in punizione. Ero diventato lazzarone, i risultati non venivano. Lanciai la proposta: vado in malga, torno, faccio un test; se supero la prova, rientro in squadra. Papà era d’accordo, ma aggiunse: “Se non continui con lo sci, ti trovi un lavoro; magari proprio quello dell’allevatore di bestiame”». 
Com’erano le giornate? 
«Sveglia alle 3.30, c’erano 120 mucche da accudire. Verso le 15 cominciavo la raccolta per la mungitura. Conoscevo già quella vita, a 11 e 13 anni avevo trascorso due estati lassù. Lavoro pesante, anche se mungere non lo è. Ma la malga mi ha insegnato a essere regolare e il modo di tornare fisicamente in ordine. Era l’unica strada per non buttarmi via: mi ero messo a bere e a fare vita sregolata, non andava bene». 
Con un fisico da maciste, oltretutto... 
«Piccolo e minuto non sono mai stato: rispetto ad altri sono sempre stato robusto. Ed è anche per questa ragione che ho mi sono dato allo sci. Ma mi stavo ingrossando troppo». 
Le davano del ciccione? 
«Gli amici lo dicevano per scherzo, ma era vero. Così mi sono messo in riga. I vantaggi sono stati subito chiari: per me in estate è prioritario tenere a posto il fisico. Da 10 anni è la mia regola e i risultati parlano». 
Papà Albert è stato troppo severo? 
«No, ha solo provato a mettermi sulla strada giusta». 
Lo sci era un approdo inevitabile? 
«È l’unico sport in cui so fare tutto. Mi piacciono pure il calcio e il tennis, ma solo nello sci sto davanti agli altri». 
Dalle sue parti è esploso anche Armin Zöggeler, fenomeno planetario dello slittino. Paris avrebbe potuto dedicarsi a uno sport del ghiaccio? 
«Ma mi vedete con il mio fisico sdraiato su una di quelle slitte? Anche no... Non ho mai voluto provare e non ho nemmeno considerato il bob, per dire. Spaventato? No, ma buttarsi giù per quei budelli gelati non è facile come magari sembra». 
Nello sci maschile c’è l’omosessualità? 
«Per quello che so nessuno ha fatto coming out. Se dovesse accadere, non ci sarebbero problemi: massima libertà di idee e di scelte, nel rispetto del prossimo». 
Come si fa a non aver paura a scendere a 130 orari sugli sci? 
«È una forza che costruisci da piccolo, quando impari a spostare più in là i tuoi limiti. La sicurezza che acquisisci elimina il timore: se devi imparare qualcosa di nuovo da grande, invece, è tutto più complicato». 
Le capita di pregare al cancelletto di partenza? 
«No. Sono religioso a modo mio, ma è una sensazione che tengo per me». 
In gara pensa ad alta voce e magari parla? 
«Assolutamente sì, mi va di dire qualcosa. Sono concentratissimo, ma a volte nel silenzio mi partono certe parolacce...». 
Ha mai considerato quello che si chiamava chilometro lanciato e oggi è lo sci-velocità? 
«Qualche pensiero l’ho fatto, ma senza approfondire: non credo che mi darebbe le stesse sensazioni della discesa. Però, dopo aver parlato con i fratelli Origone, i nostri pluricampioni del mondo, ho deciso che lo proverò. Mi piacerebbe verificare come ci si sente oltre i 200 orari: fino a 180 sono arrivato». 
Ha già qualche idea per il post-carriera? 
«Non ancora. Per la verità qualche riflessione ho cominciato a farla, però al momento mi sento ancora in forma come atleta». 
Nel 2013 un incidente stradale ha portato via suo fratello René... 
«La sua disgrazia mi ha spiegato che la vita è anche questione di fortuna e bisogna saperla gustare. Mio fratello mi manca e lo penso». 
Diamo qualche voto all’Italia? 
«Al cibo do 10. Ora mangio meno e devo stare attento un po’ a tutto, cominciando dai dolci e dall’amata Nutella; ma per la pizza stravedo, ne mangerei a quintali. Alla cultura do 9,5, alle offerte turistiche 10 perché abbiamo davvero tutto. Ai politici? Tra 6 e 7, sperando di non essere troppo generoso». 
L’indipendenza dell’Alto Adige è un’istanza che ha ancora senso? 
«La mia risposta è molto semplice: con l’Italia stiamo bene». 
Quando è nata la passione per la musica? 
«L’ho sempre amata, avevo in animo di imparare a suonare uno strumento ma non ho mai trovato il tempo per farlo. A 18 anni ce l’ho fatta, poi è nata la band (Rise of Voltage, ndr) e la passione è cresciuta». 
Scelta tosta, l’Heavy metal. Perché? 
«Perché mi dà tutto: il gruppo del cuore sono i Pantera. Dell’Heavy metal mi piacciono la velocità, la tecnica complessa e l’energia che sprigiona. Però a me dà anche tanta tranquillità e un senso di libertà: ecco, tutte le caratteristiche combaciano con la mia personalità». 
Come nasce una canzone? 
«Io sono il cantante, frontman in un gruppo di quattro. Il chitarrista fissa una melodia e io inserisco le parole. Il testo è composto in modo da dosare le frasi, perché non siano troppo aggressive. Abbiamo creato il primo disco, abbiamo suonato in Alto Adige e vicino a Udine; nel 2021 potrebbero invitarci in Austria». 
Magari il suo futuro è da manager di concerti o di cantanti. 
«Chissà, può essere che un hobby diventi un lavoro». 
La sua compagna Kristina le ha dato prima Niko e poi Lio: lo sa che Enzo Ferrari riteneva che un pilota è meno veloce dopo la paternità? 
«Ma io ho vinto l’oro mondiale e due Coppe del Mondo da quando sono papà... È una questione di carattere: c’è chi subisce la novità e chi no. Io mi impegno a tenere separati i due aspetti: quando ho gli scarponi addosso, c’è lo sci; quando li tolgo, arriva la famiglia». 
A gennaio si è rotto il crociato anteriore destro, primo serio infortunio della carriera. Ora che è pronto al rientro, che cosa pensa? 
«È stata un’esperienza inedita, ho conosciuto un avversario nuovo. Sarò condizionato dal ricordo? No, perché non sono stato vittima di una caduta brutta e spettacolare: in curva ho sentito un dolore e mi sono subito fermato. Se mi avessero portato via in elicottero, forse vedrei il rientro in modo diverso». 
Lo sa che per la nostra povera Italia servono le spalle larghe di un omone come lei? 
«Non chiedetemi di trainare con la bici, sono negato perché ho poca resistenza. Ma di roba sulle spalle ne riesco a mettere e qualche peso lo posso ben portare...».