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 2020  dicembre 10 Giovedì calendario

Il mistero di 22 scatti di un rullino lasciato in una Leica

Una giovane donna, un uomo maturo, un bassotto senza età e un «mistero fotografico» (così lo definisce la Bbc ) che resiste da 70 anni. È una storia di persone anonime (anche se qualcuno ha creduto di riconoscere nel signore seduto al tavolino l’ex re del Belgio Leopoldo), in cui gli unici ad aver ricevuto un nome finora sono i luoghi, le auto, i battelli rimasti ancorati a un rullino di 22 fotografie, mai sviluppate fino a questa estate: una piazza di Zurigo, un passo alpino, una via di Bellagio, un vaporetto non lontano dall’Isola Comacina, un bar con la scritta «pasticceria».
Molte foto sono «italiane», scattate sul Lago di Como. Doveva essere la primavera del 1951, l’anno del primo Festival di Sanremo e della riforma fiscale («la Vanoni»): il periodo, come le speculazioni sull’identità dei viaggiatori, sono frutto della ricerca collettiva che si è scatenata su Internet, dall’Europa all’America, dalla vetrina della Süddeutsche Zeitung al New York Times. 
Perché la scoperta di 22 scatti anonimi, opera di un fotografo amatoriale, affascina tanto, nell’era in cui fagocitiamo tre miliardi di immagini al giorno? Perché violare il segreto di un rullino mai ultimato, un rotolino di negativi spuntati dopo 70 anni dentro una scatola di ottone dentro una camera oscura nella lontana Irlanda? 
William Fagan, collezionista di macchine fotografiche, nel 2015 acquista una Leica IIIa degli anni Trenta. È passata di mano in mano, e dei vecchi proprietari si sono perse le tracce. Nella confezione ci sono rullini della stessa marca, 35mm, reperti di «pellicole sfuse». Per anni Fagan se ne disinteressa. Un giorno di agosto del 2020 decide di scardinare il piccolo sarcofago di immagini. Svilupparle richiede attenzione. Fagan si rivolge alla fotografa Mella Travers, che ha una camera oscura a Dublino. Insieme studiano il reperto, ipotizzano la sensibilità della pellicola. E dal bagno chimico vedono affiorare un piccolo, inaspettato mondo antico. 
Vecchie auto, eleganze di altri tempi. La prima immagine è la cabriolet sul Julier Pass. L’ultima è la giovane donna sulla panchina. Fagan racconta di questa scoperta sul suo blog a settembre. Chiede aiuto per recuperare l’identità della coppia. Mosso, dice, dalla «tristezza»: per chi ha scattato le foto (o vi è ritratto) e non le ha mai viste. Forse sono morti, ma potrebbero avere dei parenti, per cui quell’album dimenticato sarebbe un bel regalo.  
Il mistero appassiona centinaia di persone in Rete, lettori che studiano e fanno deduzioni. Nell’epoca di Google Maps e degli archivi digitali non è difficile ricostruire l’itinerario tra Svizzera e Italia. Un indizio è la targa della Bmw 315, auto prodotta in pochi esemplari tra il 1935 e il 1937, ultima immatricolazione 1948 a Monaco di Baviera dove ci sono ancora gli americani (e i relativi documenti sono andati perduti). 
A bordo della decappottabile un uomo, una donna e un bassotto si concedono una vacanza oltre il confine e oltre il ricordo della guerra, non lontano dal luogo che ha visto la fine di Benito Mussolini. Potrebbero essere austriaci, o tedeschi, o svizzeri. In che anno siamo? Fagan e la banda dei detective internauti ritengono che fosse la primavera del 1951 (la piazza di Zurigo così come si vede nelle foto fu sistemata nel dicembre 1950, un vaporetto ritratto sul lago fu messo a riposo nel 1952). 
In un continente che da lì a un anno avrebbe fissato sul terreno diplomatico i primi «cippi» dell’Europa Unita, quelle 22 foto sono lì a testimoniare qualcosa. Ognuno ci trova ciò che vuole: due amanti in fuga, l’epoca del ritorno alla vita, il blitz di chi era sfuggito agli orrori della guerra o forse ne aveva approfittato. Per fantasticare ci sono anche le 14 foto mai scattate, i 14 pezzi di un puzzle incompiuto e abbandonato: una volta a casa lei lo lasciò e lui non volle mai vedere le ultime foto insieme? 
«Grazie dei fiori» vinse con Nilla Pizzi quel primo Sanremo. E grazie dei rullini. È verosimile che il fotografo sia l’uomo maturo che appare una volta, al tavolino del bar di Lenno, piccolo gioiello sulla riva occidentale del Lago. È il posto dell’ultimo scatto: la giovane con il bassotto e l’anello all’anulare destro ci scruta da una panchina. Lenno deve il nome agli antichi coloni dell’isola di Lemnos, che ci arrivarono ai tempi di Giulio Cesare o giù di lì. 
A ben vedere sullo sfondo ci sono anche loro, improbabili viaggiatori senza nome tra il Mediterraneo e le Alpi, dietro al volto ammaliante di una donna anonima. Che forse, dopo essere stata scoperta, meriterebbe di restare sconosciuta. Ma si può lasciare inappagato il nostro bisogno di identificazione?