La Stampa, 10 dicembre 2020
I ghiacci del Polo Nord navigabili in 30 anni
Passata l’euforia per lo scampato pericolo Trump, visto che Biden ha promesso di riportare gli Usa nell’accordo di Parigi dal primo giorno della sua amministrazione, ora si tratta di fare i conti con la realtà dell’emergenza clima. Che è terrificante, se uno legge l’Arctic Report Card appena pubblicato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration, secondo cui i ghiacci del Polo Nord si stanno squagliando ad una velocità tale da rendere la regione interamente navigabile nel giro di 30 anni. Oppure se guardiamo il rapporto uscito ieri dallo United Nations Environment Programme, che sollecita i ricchi della Terra a ridurre le emissioni di anidride carbonica di 30 unità, se vogliamo evitare gli effetti catastrofici del riscaldamento globale già evidenti.
Il 2020 è stato un anno disgraziatamente positivo per l’ambiente, perché lo stop alle attività umane imposto dal Covid ha ridotto le emissioni di circa il 7% su base globale. Se però non approfitteremo della lezione per cambiare in maniera permanente le nostre abitudini, ad esempio sviluppando il lavoro da casa o limitando i viaggi, da qui al 2050 il calo episodico di questo anno sfortunato varrà una riduzione media della temperatura di appena 0,01 gradi Celsius.
Gli incendi in Siberia
Gli effetti sono già devastanti. Secondo l’Arctic Report Card, a settembre l’estensione dei ghiacci nell’Oceano Artico è scesa al secondo livello più basso di sempre. Il permafrost continua a ridursi, e come un cane che si morde la coda gli incendi si sono moltiplicati in Siberia, aumentando di un terzo le emissioni di diossido di carbonio. Lo studioso della University of Alaska Rick Thoman ha detto al New York Times che «non c’è ragione per credere che fra 30 anni nulla dell’Artico sarà come oggi». Già adesso nei mesi estivi è possibile la navigazione, che ha scatenato la sfida geopolitica tra le grandi potenze per assicurarsi le rotte, e quindi i commerci e le risorse naturali. Nel prossimo futuro, però, l’oceano più settentrionale diventerà simile agli altri mari, con la conseguenza che l’acqua prodotta dallo scioglimento allagherà le coste.
Lo United Nations Environment Programme ha scritto che per evitare la catastrofe i Paesi più ricchi e inquinanti, cioè noi, dovremmo moltiplicare almeno per 5 gli impegni presi con l’accordo di Parigi, ormai superato. Qualche giorno fa, il segretario generale dell’Onu Guterres ha indicato questa linea: «Ogni paese dovrebbe incrementare le proprie Nationally Determined Contributions, molto in anticipo rispetto alla conferenza COP26 di novembre a Glasgow, e in linea con l’obiettivo di lungo termine di raggiungere la carbon neutrality globale entro il 2050».
Biden è d’accordo. Perciò ha nominato inviato speciale John Kerry, che in un’intervista rilasciata a La Stampa in luglio aveva anticipato così il suo programma: «Gli Usa devono dimostrare che, nonostante le difficoltà economiche del 2020, il clima non è una questione secondaria, ostaggio delle fragili politiche domestiche. Possono galvanizzare nuovi sforzi per spingere il mondo ad affrontare l’emergenza e accendere la scintilla per una rivoluzione mondiale dell’energia pulita. Uno dei modi più rapidi sarebbe tornare a coinvolgere la Cina negli obiettivi per la riduzione delle emissioni stabiliti nel 2014, e l’Europa. Perché? I principali inquinatori, Cina, Ue e Usa, sono responsabili di oltre il 50% delle emissioni. Un movimento all’interno del G20, in cui i paesi responsabili di oltre l’80 o l’85% delle emissioni si unissero per ridefinire verso l’alto le ambizioni di Parigi, segnalerebbe l’impegno a "build back better", ricostruire meglio, dopo il Covid».
Il G20 in Italia
Questa sollecitazione riguarda direttamente l’Italia, perché ospiterà il prossimo G20, a cui Biden ha già detto di voler partecipare. Roma quindi ha l’occasione di costruire l’agenda per il «movimento» prospettato da Kerry, raggiungendo così il doppio obiettivo di prendere un’iniziativa utile per il futuro del pianeta, e per consolidare subito il rapporto con la nuova amministrazione americana.