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 2020  dicembre 10 Giovedì calendario

La Cina sposta in Italia l’origine del virus

Non sappiamo dove il coronavirus sia passato all’uomo. Quasi sicuramente non nel famoso mercato di Wuhan, forse neppure in città. È possibile che i ricercatori non arrivino mai a definirlo con precisione. Ma attorno a questa fisiologica incertezza scientifica, la Cina sta costruendo una campagna di disinformazione il cui obiettivo è intorbidire ulteriormente le acque. Una narrazione che considera solo metà dei fatti, che strumentalizza studi e dichiarazioni di ricercatori stranieri per avvalorare un’ipotesi possibile in linea teorica, ma giudicata poco attendibile dalla comunità scientifica, cioè che il virus non sia nato in Cina. Che sia stato “importato” dall’estero, magari dai Paesi che dicono di aver rilevato i casi più vecchi, come l’Italia. Una narrazione che scarica il Dragone da ogni responsabilità per come ha gestito il contagio.
Fin dall’inizio Trump ha cercato di trasformare quell’indicazione geografica, “il virus cinese”, in un capo di imputazione. La teoria del “virus importato” è la replica del Dragone, che si difende attaccando. Nasce a giugno, quando un focolaio scoppia in un mercato di Pechino. I tecnici trovano tracce di Sars-Cov-2 ovunque, ma l’attenzione del popolo viene diretta su un banco dove è stato tagliato del salmone norvegese. Possibile che il virus si conservi nei prodotti surgelati e poi si liberi? È possibile, dicono gli scienziati, ma è poco probabile che arrivi a contagiare qualcuno. Invece per la Cina questa teoria diventa la narrazione ufficiale, in un rimpallo tra ricercatori poco rigorosi e media di Stato.
Per il regime la data di inizio dell’epidemia a Wuhan resta sempre la stessa: dicembre. Anche se un documento riservato retrocede un caso a metà novembre. Anche se ricerche internazionali sul materiale genetico parlano di metà ottobre. Niente: gli unici paper stranieri che la Cina considera sono quelli che rivelano tracce precedenti, ma all’estero: in primavera nelle fogne di Barcellona o a settembre in Italia, come scrive l’Istituto Tumori di Milano. Non si chiede quanto siano attendibili. Quando Alexander Kekulé, scienziato tedesco, afferma che quasi tutti i ceppi oggi in circolazione derivano da quello italiano, i media in mandarino eliminano l’"oggi” e lo arruolano a sostegno della causa. Tagliano anche la parte in cui diceva che il ceppo originario era cinese.
Due giorni fa, l’ultima mossa: il Global Times pubblica un’inchiesta dal titolo “I surgelati importati possono aver scatenato il contagio a Wuhan?” Risposta, con citazioni di vari scienziati: mancano le prove, ma non si può escludere. L’articolo omette di ricordare che molti dei primi casi non avevano legami con il mercato. Ma la Cina non vuole arrivare alle conclusioni, né accusa esplicitamente Paesi stranieri. A Pechino interessa cavalcare l’incertezza scientifica per negare l’ipotesi più probabile, che il virus sia nato in Cina, e accreditarne una senza prove, che sia nato altrove. «La ricerca dell’origine è questione scientifica complessa che potrebbe coinvolgere diversi Paesi», dice sibillino il governo. E agitando le acque rende un’indagine da ago nel pagliaio ancora più proibitiva. L’Oms, incaricata di portarla avanti, ha nominato i suoi esperti, ma Pechino ha fatto di tutto per ritardarne l’arrivo. Dopo estenuanti negoziati, ha concesso loro l’ingresso a Wuhan, ma in data da destinarsi. Le prime ricerche saranno affidate a scienziati cinesi.