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 2020  dicembre 10 Giovedì calendario

Lo scontro Boschi-Gruber

Baci, Recovery, selfie, pedagogia sociale, mascherina sì, mascherina no, mascherina forse; e poi teatrino tv e rotocalchizzazione d’Italia, sfera pubblica e privata, sessismo implicito o pretestuoso e anche – sia consentito – un brilluccichio di Eva contro Eva prime time: tutto questo nel cortocircuito dell’altra sera fra Maria Elena Boschi e Lilli Gruber su La7.
Beninteso, niente di drammatico, anzi. Ma senza mai dimenticare che maggiori cose premono sui destini collettivi, si porrebbe ugualmente all’attenzione quale fantasmagoria di temi, polemiche, equivoci e contraddizioni possa concentrarsi in appena due minuti e 12 secondi rivelando le forme e la sostanza di una politica già così complicata che ci mancava solo la pandemia.
Per chi non ha visto la trasmissione o il relativo frammento rimbalzato sui siti e sui social, ecco dunque che Gruber e Boschi, l’una di fronte all’altra, parlavano come capita nei talk di tutto e di niente. E tuttavia a un certo punto la conduttrice di Otto e mezzo ha mostrato un servizio illustratissimo di “Chi”, riconosciuto messale della Terza Repubblica, in cui la presidente dei deputati di Italia Viva compariva insieme con il nuovo (ormai fino a un certo punto) fidanzato, l’attore Giulio Berruti.
L’atmosfera delle immagini era rilassata e il format quello solito; a parte la Mercedes Pagoda e un cane tipo husky (in precedenza Boschi aveva posato con un bracco di Weimar dal nome Artù), i due facevano colazione, passeggiavano sulla spiaggia, si baciavano, si fotografavano. E però, come ha fatto notare Gruber con qualche risolutezza: senza mascherina. E qui Boschi, cortese ma seccata: prego, la mascherina ce l’aveva ed era solo abbassata, a causa dei selfie e per pochi istanti, quindi se si può parlare del Recovery, questione ben più importante... E no, l’ha incalzata Gruber, perché lei è persona pubblica, c’è gente che per questo prende le multe e ci si aspetta che dia il buon esempio. Al che Boschi ha tenuto il punto, limitandosi a promettere che in futuro avrebbe fatto «ancora più» attenzione, ma insistendo nell’affrontare l’utilizzo delle risorse del Recovery. Ciò che ha spinto Gruber a ricordarle, con atteggiamento che qui non si ha cuore di definire paternalistico: «Il mondo là fuori è molto crudele» – cosa del resto più che evidente.
Ora, da un certo punto di vista la faccenda è povera di implicazioni, ma per altri versi mette in causa un mutamento, o meglio un’eccedenza di novità, narrazioni, visioni, trasformazioni e contaminazioni rispetto alle quali, lungi dalla nostalgia del bel tempo che fu e da qualsiasi sociologismo straccione, viene da dire in un primo momento: boh. E subito dopo, anche qui osando l’inosabile: oh mamma mia!
Neanche a dire che si possa buttarla sul genere, secondo lo schema ormai piuttosto frequentato – e nel caso di Boschi ancora di più – della donna inchiodata sugli stereotipi del paternalismo e resa vittima dai pregiudizi maschili. Perché qui, come immediatamente è rimbombato nella camera dei social, a sollevare la polemica non solo è stata un’altra donna, ma Lilli Gruber è anche la recente autrice di un libro intitolato: “Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone” (Solferino).
Così, messi nel conto lo show, il divismo, il gossip, le paparazzate patinate, il paesaggio canino, il complemento automobilistico e quant’altro di terribilmente frivolo offre alla vita pubblica il miscuglione della post-politica, ancora una volta si resta sopraffatti dalla turbinosa accelerazione che a tutto questo ha impresso la pandemia. Per cui nel botta e risposta Boschi-Gruber, con incerta, ma temeraria immaginazione, finisce per rispecchiarsi e insieme consumarsi il definitivo spostamento della politica da etica del bene comune a estetica di una rappresentazione pubblica che sui diversi palcoscenici tiene insieme commedia e melodramma, quaresima e carnevale.
Quanto alla direzione di marcia, anche qui: vattelapesca. Al di là dei personaggi, ma anche a partire dalle maschere che più o meno stabilmente coprono il loro volto, l’impressione è quella di un vuoto. O meglio, ognuno recita la sua parte e l’autenticità appare così di rado da risultare poetica, commovente.