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 2020  dicembre 09 Mercoledì calendario

La corsa ai vaccini aiuta il petrolio

Una cosa è certa. Il vaccino anti-Covid farà volare più aerei. Non tra mesi o anni, quando con l’immunità ritroveremo la fiducia di viaggiare, ma da subito. La distribuzione delle prime dosi da parte di Pfizer-Biontech è cominciata e presto seguiranno a ruota anche altre case farmaceutiche, a cominciare probabilmente da Moderna e AstraZeneca, in una corsa alle consegne che è stata definita come la maggiore sfida logistica di tutti i tempi.
I trasporti aerei avranno un ruolo centrale (si veda anche  Il Sole  24 Ore di ieri). E con il moltiplicarsi dei voli dovrebbero riprendersi anche i consumi di carburanti per aviazione, l’unica grande sacca di debolezza che continua a tenere sotto scacco la domanda petrolifera. Forse c’è anche questa considerazione – oltre a un generico ottimismo per la fine (ancora lontana) della pandemia – dietro il rally che nell’ultimo mese ha spinto in rialzo di oltre il 20% le quotazioni del petrolio, riportando il Brent vicino a 50 dollari al barile.
Un Boeing 747 cargo brucia un gallone, ossia circa 4 litri, di carburante al secondo, si apprende dal sito della società aeronautica. Per un chilometro ci vogliono 12 litri e per un viaggio dagli Stati Uniti all’Europa si arriva a consumarne quasi 150mila.
Solo per i vaccini anti-Covid di aerei come questo bisognerebbe caricarne almeno 8mila, se l’obiettivo è recapitare una dose per ciascuno dei 7,8 miliardi di abitanti del Pianeta. Il numero raddoppia se – come sembra – sarà necessario somministrare anche una seconda dose di richiamo, stima la Iata, l’Associazione internazionale del trasporto aereo. Volumi che ovviamente si sommano a quelli di tutte le altre merci che sempre più spesso – con l’espansione delle vendite online e il rincaro record dei noli marittimi per i container – vengono trasferite con questa modalità.

Il sistema è già sotto pressione, al punto che su molte rotte i costi di spedizione sono più che raddoppiati da febbraio, quando il coronavirus ha iniziato a lasciare a terra centinaia di aerei mentre aumentava la necessità di spostare grandi volumi di materiale sanitario, dai ventilatori alle mascherine. 
I vaccini, anche per le loro peculiari caratteristiche, aggiungono ulteriori sfide alle quali è probabile che si potrà rispondere solo “spezzettando” le consegne, dunque con un numero di voli ben superiore agli 8mila (o 16mila) ipotizzati in base al volume delle confezioni. 
Ad evidenziare numerose criticità è la stessa Iata, nell’ambito delle linee guida che ha messo a punto in vista dell’enorme sforzo logistico che si prospetta. Dal documento e da altri studi – tra cui uno realizzato da Dhl con Mackinsey – emerge in modo evidente che la capacità di trasporto rischia di non riuscire ad essere sfruttata in modo ottimale, da un lato perché i vaccini non sono prodotti qualsiasi: servono temperature controllate, che per il prodotto Pfizer devono scendere a livelli estremi, addirittura 70 gradi sotto zero. Dall’altro lato, c’è il rischio che a frenare la distribuzione sia proprio la pandemia. O meglio: i suoi effetti sul settore aeronautico, che è sprofondato in una crisi senza precedenti.
Migliaia di voli sospesi, rotte cancellate dal mappamondo, aeromobili fuori servizio hanno scomposto un puzzle che ora non è facile né immediato rimettere in ordine, ma che andrebbe almeno in parte ricostruito per evitare ritardi nella distribuzione dei vaccini, che allontanerebbero il traguardo dell’immunità di gregge.
Tra i nodi da sciogliere c’è il crollo di oltre il 60% del traffico passeggeri, che ha provocato la perdita di spazi preziosi anche per il trasporto delle merci: la cosiddetta capacità belly, che secondo Iata è tuttora ridotta di un quarto. Prima del Covid oltre metà dei farmaci viaggiavano in stiva con le valigie dei turisti, proprio per facilitare una distribuzione capillare nel mondo, anche dove non esistono grandi hub logistici. Ora quasi tutti devono trovare posto su voli cargo specializzati. E lo stesso vale ovviamente per qualsiasi altro prodotto. La competizione per gli spazi è forte, anche se – come si legge nel rapporto World Air Cargo Forecast di Boeing – quasi 200 compagnie hanno convertito 2.500 aerei passeggeri al trasporto esclusivo di merci, rimuovendo i sedili o semplicemente caricandoli di scatoloni. 
Gli espedienti rischiano di non bastare più, anche perché i vaccini a temperature ultra fredde potrebbero aver bisogno di spazi superiori alla media. Vanno trasportati in speciali contenitori refrigerati con motori a batteria o con montagne di ghiaccio secco: un prodotto comune (si tratta semplicemente di CO2 allo stato solido) ma che può dare grattacapi. È infatti qualificato come pericoloso, per cui ai vettori sono imposte procedure e autorizzazioni speciali per il trasporto. Inoltre a bordo degli aerei si può portare solo in quantità limitate: tra 816 e 1.088 kg al massimo, ricorda Dhl, perché tende a evaporare e le esalazioni rischiano di avvelenare i piloti.
In compenso l’allarme per una possibile carenza di CO2 (e dunque di ghiaccio secco), che aveva sollevato preoccupazioni negli Usa, sembra rientrato. Mentre su questa sponda dell’Oceano Atlantico non sembrano esserci motivi di apprensione. «In Europa e soprattutto in Italia il rischio è zero», rassicura Federgastecnici, l’associazione del settore dei gas industriali. «Da noi non c’erano stati problemi nemmeno nell’estate 2018, quando la mancanza di CO2 aveva messo in crisi i birrifici del Nord Europa». 
Per evitare problemi Ups e FedEx, colossi della logistica globale, si sono comunque mossi d’anticipo. Non solo allestendo magazzini super refrigerati per custodire i vaccini in attesa dello smistamento, ma anche avviando la produzione in proprio di ghiaccio secco, in quantità tali da prevedere di poter rivendere l’eccesso sul mercato. 
Resta il tema della capacità dei trasporti aerei, che secondo la Iata quest’anno si è ridotta nel complesso del 30%. «Per facilitare un’efficace distribuzione dei vaccini bisogna che la rete passeggeri si rimetta in moto», ha dichiarato Glynn Hughes, responsabile della divisione cargo della Iata, forse più libero di esprimersi rispetto ad altri perché dimissionario. In pratica, potremo tornare a volare grazie al vaccino, ma per vaccinarci in fretta dovremmo tornare subito a volare. Un paradosso difficile da riconciliare, non solo per motivi psicologici. Troppi aerei infatti mancano all’appello: ce ne sono circa 17mila fuori servizio, il 60% della flotta totale, stima la società di consulenza Cirius. E non sempre sono ricoverati negli hangar pronti a riaccendere i motori. Molti sono stati spostati in speciali aree di rimessa, e per decollare di nuovo necessitano di lunghe operazioni di ripristino.
Anche la fitta ragnatela di rotte che collegava ogni angolo del globo si è spezzata in più punti. Da oltre 22mila city-pairs, le tratte aeree che uniscono due località, si è scesi ad appena 14.765 per colpa della pandemia. Persino nei grandi hub, come Londra o New York, i voli si sono rarefatti. E ci sono luoghi, soprattutto ma non solo nei Paesi in via di sviluppo, in cui da mesi non atterra più nemmeno un aereo.
Certo, esistono anche i camion e talvolta le ferrovie, che comunque avranno un ruolo nella distribuzione dei vaccini. Tuttavia, avverte Iata nelle sue Linee guida, «se rimaniamo con le frontiere chiuse, i viaggi ridotti, le flotte a terra e i dipendenti in congedo, la capacità di consegnare vaccini salvavita sarà molto compromessa, anche nell’ultimo miglio».