la Repubblica, 9 dicembre 2020
«Noi stagionali di Amazon costretti a vivere nei camper»
In principio fu l’espulsione dalle campagne, per spingere la forza lavoro verso le città-fabbrica. Nella rivoluzione digitale l’economia 4.0 ribalta i canoni, colloca enormi stabilimenti in mezzo al nulla e introduce una nuova modalità: la vita in camper nel parcheggio dell’azienda. Centro distribuzione Amazon di Rovigo, 189 mila metri quadrati a cavallo tra due comuni, quasi mille dipendenti e un nome, Blq1, che è la sigla dell’aeroporto più vicino, quello di Bologna.Il colosso dell’e-commerce trasforma in logistica anche le vite di chi ci lavora: contratti deboli e paghe basse sono una barriera insormontabile nella ricerca di un alloggio. E così c’è chi sceglie di vivere in un camper davanti allo stabilimento. Lavorare, per lavorare, per lavorare. «Dal 7 ottobre vivo e lavoro qua. Con questo stipendio non mi posso permettere altro», dice Massimo Straccini, 58 anni di Ferrara. Accanto a lui c’è la moglie Edena, origini brasiliane, che spera di venire ingaggiata come il marito. Massimo Straccini è uno degli addetti allo stoccaggio. È stato assunto il 7 ottobre scorso dalla società di Seattle, che dai 120 dipendenti iniziali ha quasi decuplicato i numeri per fare fronte al Black Friday e al periodo natalizio. Numeri monstre che quasi superano quelli degli abitanti dei piccoli comuni di San Bellino e Castelguglielmo, dove è stato eretto il magazzino. L’hub polesano è uno dei tre centri in Italia a possedere gli Amazon Robotics, congegni molto simili ai moderni aspirapolvere automatici che si infilano sotto gli scaffali alti oltre due metri per spostare il materiale da una postazione all’altra. Il magazzino viene gestito da un software. Un secolo dopo Henry Ford, ecco la nuova catena di montaggio che detta i ritmi ai lavoratori. «Mi hanno assunto per tre mesi con il Mog (minimo orario garantito)» racconta Straccini, dal suo camper, poco prima di iniziare il turno di notte che dalle 23.30 lo terrà occupato fino alle 7 del mattino. «Il mio compito è prendere i pacchi e sistemarli negli scaffali robotizzati». Il primo stipendio è stato di 968 euro per 104 ore: poco più di 9 euro l’ora. Massimo e Edena non sono gli unici a vivere nel parcheggio dell’azienda. I camper presenti sono quasi una decina e la Cgil sostiene che qualcuno dorma anche in macchina. «Amazon offre due tipi di contratti: o tre mesi con il minimo garantito o un mese full time» spiega Pieralberto Colombo, segretario generale della Cgil Rovigo. «Con il minimo garantito si lavorano due giorni a settimana, salvo poi essere richiamati in base alle esigenze, con 24 ore di anticipo». Tra San Bellino e Castelguglielmo gli affitti hanno subito aumenti anche del 30 per cento, dopo l’arrivo della massa di lavoratori della logistica. Ma soltanto una minima parte di questi salariati offre le garanzie richieste nel mercato immobiliare. C’è anche chi, come Marco, 48 anni, di Bologna, ne fa una questione di costi: «Ho una moglie, una figlia e un mutuo casa. Non posso permettermi di buttare via soldi per un affitto. Quindi ho scelto di vivere in camper». Eccolo qua, quindi, a 60 chilometri da casa, in mezzo a un nulla fatto di tir che vanno e vengono, giorno e notte. Ogni mansione dei lavoratori è codificata e non modificabile. Nei reparti comandano i “leader”, che indossano casacche gialle e sopra di loro ci sono i “manager”, con divisa gialla e blu. Uno degli incarichi più temuti è quello del “runner”, come viene chiamato colui che deve trascinare le gabbie cariche di bancali fino al gate d’imbarco dei tir. «Spingi o trascini bancali pesantissimi per otto ore al giorno, senza mai cambiare mansione», racconta Giuseppe, che nell’hub di Rovigo ha resistito solo un mese prima di licenziarsi. C’è chi invece riesce a resistere, per tenersi stretti compensi che vanno dai 900 ai 1.300 euro al mese. «Questo fenomeno ci mostra lo strano intreccio tra consumo, mercato del lavoro e riproduzione sociale» ragiona Devi Sacchetto, professore di Sociologia del Lavoro dell’Università di Padova, autore anche di una ricerca sui lavoratori della Foxconn in Repubblica Ceca. «A volte bisognerebbe porsi degli interrogativi sulla nostra esigenza di consumo e su come si ripercuote sulle condizioni di lavoro e di vita di chi sta dietro i pacchi».