Corriere della Sera, 9 dicembre 2020
Cosa ci insegna il metodo Ciampi
Cento anni fa nasceva a Livorno Carlo Azeglio Ciampi. Quando, nel 1993, fu chiamato a guidare il governo italiano, un acuto studioso francese ricordò la lettera con cui l’illuminista D’Alembert, nel 1774, informava Federico II di Prussia della nomina, da parte di Luigi XVI, di Turgot alle Finanze.
D’Alembert scriveva: «Il re ha scelto uno degli uomini più illuminati e virtuosi del regno. Se non riuscirà lui a far del bene, bisognerà concludere che il bene è impossibile».
Come in un momento tanto difficile, in un sistema politico che era stato dominato dai partiti per quarant’anni, sia potuto accadere che un uomo con tante virtù, tanta competenza e una così ricca esperienza, e estraneo alla politica partitica, sia stato chiamato al potere e vi sia restato per quasi un quindicennio è un interrogativo ancora senza risposta.
Ciampi appena diciassettenne era divenuto allievo della Scuola Normale Superiore. Laureato a ventun anni in filologia classica, fu arruolato nell’esercito e nel 1943 superò le linee tedesche in un ardimentoso passaggio sulla Maiella, per raggiungere l’esercito italiano al Sud. Finita l’esperienza militare, nel 1946, prese una seconda laurea, questa volta in giurisprudenza, e nello stesso anno entrò in Banca d’Italia, dove, in quasi un cinquantennio, salì tutti i gradini, fino a diventare governatore nel 1979.
Chiamato alla guida del governo nella più difficile giuntura della storia repubblicana, al passaggio tra prima e seconda Repubblica, in un’Italia divisa da Tangentopoli, con una forte crisi di fiducia, dette prova della sua capacità di far nascere le decisioni in modo collegiale, coinvolgendo sostenitori e avversari nell’azione di governo, ma sempre tenendo ferma la barra sull’obiettivo di riformare Stato e formula elettorale. Conosciuto e apprezzato come esperto autorevole all’estero, all’interno, pur non aspirando ad entrare nell’agone politico, mostrò molto più fiuto di tanti parlamentari di lungo corso.
Seguì un triennio come ministro del Tesoro (1996- 1999), nel quale riuscì a far entrare l’Italia nell’area euro, un successo che spiega la sua elezione, nel 1999, al primo scrutinio, alla Presidenza della Repubblica. Dal Quirinale gestì l’infanzia del bipolarismo maggioritario, riuscì a contenere le spinte centrifughe per assicurare coesione sociale nazionale, garantì il rispetto dei vincoli esterni, specialmente quello europeo, nello stesso tempo rinverdendo il culto dell’identità nazionale e il patriottismo costituzionale, anche per opporsi alle tensioni separatiste di una parte dei «federalisti».
Carlo Azeglio Ciampi ha dunque servito lo Stato italiano per più di un venticinquennio, prima come governatore della Banca d’Italia (1979 – 1993), poi come presidente del Consiglio dei ministri (1993 – 1994) e come ministro del Tesoro (1996 – 1999), infine come Presidente della Repubblica (1999- 2006).
Non era un economista, ma si applicò all’economia, in particolare quale capo del servizio studi della banca centrale. Non era un politico, ma si applicò con grande successo alla politica, operando al vertice dello Stato in uno dei tornanti cruciali della storia repubblicana. Non economista e non politico, non è mai stato in questi campi un dilettante, perché ad essi si impegnò con metodo, «un metodo non diverso da quello applicato a un ‘frammento’ nei memorabili seminari di Giorgio Pasquali» – come scrisse in una bella lettera, del 23 giugno 2016, una sorta di «testamento spirituale», inviata al direttore della sua scuola di formazione, la Scuola Normale Superiore di Pisa.
Fu sempre fedele all’insegnamento del suo maestro di vita, Guido Calogero, con il quale nel 1943 scelse il «sentiero della libertà», nella speranza di una nuova Italia democratica.
Giunto alla Presidenza della Repubblica, tre furono le sue preoccupazioni principali: ricostruire un rapporto più stretto tra il Quirinale e il Paese, assicurare un ordinato svolgimento della vita politica, mettere ordine in casa propria, cioè nella Presidenza. Per ascoltare la voce dei cittadini e far sentire che le istituzioni della Repubblica erano ad essi vicine, si impegnò nella visita sistematica di tutte le province italiane. Per assicurare il buon funzionamento della macchina statale, mantenne un costante contatto con Parlamento e Governo. Per mettere ordine nella Presidenza della Repubblica, ne riordinò struttura e funzionamento.
Più di un quarto di secolo dopo l’inizio dell’impegno diretto di Ciampi nella politica, siamo a una nuova svolta, forse l’avvio di una terza fase della storia repubblicana, una fase nella quale diventano sempre più importanti gli insegnamenti di Ciampi: rispetto della Costituzione, fiducia nell’Unione europea, imparzialità negli orientamenti, tenacia nelle scelte, competenza e rigore nelle decisioni.