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 2020  dicembre 08 Martedì calendario

22QQAFA10 Intervista a Ian McEwan

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Fermi tutti, c’è uno scrittore che non si lamenta di reclusioni e lockdown: «Mi vanno benissimo. A fine 2019 ho detto a mia moglie», la giornalista Annalena McAfee, «Anne, sono stanco di viaggi, festival, cene… l’anno prossimo starò tutto il tempo in casa a leggere e scrivere!». Detto fatto, Covid o meno, era destino che beccassimo Ian McEwan nello studio della sua fiabesca magione, nelle bucoliche Cotswolds a 150 chilometri da Londra, mentre il 72enne colosso del romanzo inglese pubblica una nuova opera in italiano. Ecco Invito alla meraviglia, per un incontro ravvicinato con la scienza(Einaudi), silloge di densi ed eruditi saggi sul rapporto tra scienza e letteratura, intersezioni orbitali ricorrenti nell’universo di McEwan, da Blues della fine del mondo a Sabato , Solar e
Macchine come me . Ma stavolta si va dall’evoluzionismo alla soggettività di Samuel Richardson, l’Io dei selfie e l’amletiana quintessenza di polvere, il culto di Hemingway e il mito di Darwin e Beethoven, le rivoluzioni di Newton, la post-divinità di Flaubert e il sublime trionfo della creatività umana.
McEwan, con il Coronavirus e la scienza sempre più "pop",
tempismo perfetto per "Invito alla meraviglia".
«Questa crisi è arrivata in un contesto di anti-razionalismo duro, populista, superstizioso, a volte violento, furioso. Gli Stati Uniti di Trump ne sono stati esemplari. Se trent’anni fa immaginavamo una nuova, imminente era di umanesimo secolare, laico, dettata da evidenze scientifiche… ci sbagliavamo. Metà del mondo mi pare superstiziosa quanto i contadini medievali…».
È la sconfitta dell’Illuminismo?
«In un certo senso sì. Siamo di fronte a un’eccezionale ondata contro la competenza. Speravamo che la galassia umanistica e la scienza si sarebbero presto fondate in una splendida entità di sapienza. Non è successo».
È deluso?
«Molto. Abbiamo una nuova montagna da scalare. E poi c’è il problema dei social e del potere assoluto e impersonale degli algoritmi, capaci di convincere qualcuno che Hillary Clinton gestisse una gang di pedofili o altre teorie del complotto… ma queste sono più affascinanti della verità.
L’obiettivo di Facebook & Co. è di tenerci incollati allo schermo».
Lei non usa i social media?
«Ma no! Altrimenti non riuscirei più a leggere o scrivere. Però non sono del tutto pessimista».
Ah no?
«I vaccini anti Coronavirus potrebbero rappresentare una riconquista della razionalità collettiva. Molti capiranno che la scienza non è Frankenstein. E con l’addio di Trump e altri leader populisti, potremo tornare a sperare. Ma la realtà e la verità devono tornare a essere patrimonio condiviso».
E come si fa, in un’era di patacche ed entropie online?
«Purtroppo Internet lo trattiamo ancora ingenuamente, come i bambini con un nuovo giocattolo.
Ma è ora di diventare adulti. Primo: bisogna trattare i social media e le grandi aziende del web come i giornali e i siti di news: se pubblichi falsità o minacce di morte, devi essere punito. Zuckerberg ha le mani sporche di sangue per il ruolo di Facebook nel genocidio dei musulmani in Myanmar. Secondo: un’identità digitale per tutti, nei Paesi democratici, contro le malefatte dietro anonimato».
La scienza ci può aiutare in questa crescita?
«Una delle invenzioni più straordinarie è il metodo. Prima, la conoscenza si basava su religioni o altre autorità superiori, con tutti i danni annessi. È un lungo processo, che parte dagli antichi greci e Aristotele sull’isola di Lesbo».
E passa attraverso gli errori, anche della stessa scienza.
«Assolutamente. La scienza è come una nave che ondeggia per capire meglio se stessa e avanza grazie ai suoi "funerali", ossia l’allievo che supera il maestro o gli errori precedenti alle scoperte. Anche questo è illuminismo. Freud, per me, non ci è stato utile, e però, come Aristotele, è stato vitale per la nostra crescita. Tutto ciò richiede una grande immaginazione, perciò mi affascina il connubio tra scienza e arte: due universi molto distanti, gli scienziati lavorano in squadra, l’artista da solo. Ma entrambi si basano sulla curiosità di capire la condizione naturale e umana».
E la letteratura? Migliora nel tempo?
«Per me è come le Alpi, con i loro picchi: Tolstoj, Flaubert, eccetera. Ma migliora? Certe tecniche scrittorie non c’erano secoli fa. Ma la letteratura è più un’esistenza continua: Tolstoj, Austen, Shakespeare saranno sempre una presenza viva nelle nostre vite. A differenza della scienza, la letteratura sfugge al tempo e si perpetua nella prigione di chi la ama. Mentre Faraday, sì, è stato un genio dell’elettromagnetismo, poi però qualcun altro ha migliorato le sue ricerche».
Ma scienziati e artisti condividono anche la creatività.
«Da sempre. Sono fortunati perché sono come bambini che mescolano realtà, fantasia, ricordi, in un fruttuoso flusso di coscienza. Kierkegaard scrisse che il vero ruolo di un artista era quello di riscoprire la serietà di un bambino che gioca. Ma questa può essere anche una delle cose più egoiste degli umani».
Oggi la creatività si può ridurre all’Io, o all’Ego, sui social media?
«Di certo i selfie e i social media sono un mezzo dell’Io. Ma se hai un Paese di solipsisti, è un problema per tutti. Nessun uomo è un’isola, vedi John Donne. Se alienate "folle solitarie", come le chiamo io, si riuniscono in piccoli gruppi online, condividendo solo i loro ristretti universi, torniamo al problema di cui parlavamo all’inizio: la mancanza di un senso comune della realtà. Senza il quale siamo spacciati».
Quale lezione possiamo trarre dalla pandemia?
«A marzo in tv vedevo dottori e infermieri della Lombardia travolti da pazienti per Covid. Allora piansi, perché li ammiravo, per il loro eroismo e altruismo. La lezione più importante arriva proprio da quelle persone, che hanno sacrificato le loro vite per salvarne altre. È la cosa più tragica ma anche la più bella».