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 2020  dicembre 08 Martedì calendario

Periscopio

Non paragonare mai lo stipendio al talento. Marlon Brando.
Come un personaggio di Aspettando Godot, il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, in visita a Catanzaro, ha annunciato serafico: «Il commissario arriverà». Più che scomodare Samuel Beckett, sembrava il protagonista di una di quelle barzellette divertenti che raccontava Gigi Proietti. Augusto Minzolini, il Giornale.

Ho scelto la strada del vivere le cose, prima ancora del divulgarle. Non ho mai cercato la fama, si sta meglio senza. Oggi vivo piuttosto isolata, ma va bene così. Margherita Bulgheroni, prima traduttrice dei Beatles (Roberta Scorranese). Corsera.

Molti non credono più all’inferno, al paradiso, al giudizio universale. Nell’immagine scientifica del cosmo non c’è più posto per «il padre che sta nei cieli» e la Terra è solo una piccola sfera inquinata e sovraffollata. Inoltre, per la scienza la realtà ultima è una nube di atomi, particelle, elettroni, bosoni ma non ci sa dire cosa è bene e male, indicarci una meta. Francesco Alberoni. il Giornale.

Sul divano, con un micio sulle ginocchia, un cane ai piedi e un gattone bianco al collo, si è concesso per un’ora alla mia contemplazione Fabrizio Rondolino, che fu della squadra dei calvi di Max D’Alema, con Marco Minniti, Claudio Velardi, ecc. Fabrizio è molto simpatico, odioso a molti per il santo vizio di parlare schietto. Rondolino scoprì Roma negli anni ’80, dove scese da Torino per occupare un posto di rilievo nella Fgci, la palestra dei giovani comunisti. «Mi innamorai della città in modo folle», racconta. «Da noi, il cielo azzurro c’è una volta ogni quindici giorni. A Roma c’è sempre». Non l’ha più lasciata. Ora è sistemato in un attico da nababbo con vista sul Foro romano, nel punto esatto in cui fu pugnalato Giulio Cesare. Può permetterselo in base alla regola che si è data: vivere sopra i propri mezzi, abitando in affitto case che non potrebbe mai acquistare. Fabrizio Rondolino, scrittore (Giancarlo Perna). Libero.

La realtà è così complicata che oltre alle profezie che si auto-adempiono (profetizzo qualcosa che desidero accada e la mia profezia spinge gli altri a comportarsi in modo che l’oggetto del mio desiderio si realizzi) esistono anche le profezie che si auto-annullano o si auto-falsificano: ad esempio, profetizzo qualcosa che mi spaventa sperando che tante persone si attivino per impedire che avvenga. Angelo Panebianco, politologo. Corsera.

La nascente televisione (il primo collegamento sperimentale è del settembre 1949) regala una lingua al Paese, lo racconta, lo fa conoscere ai tanti che mai si sono mossi da casa. Con Lascia o raddoppia? cominciano trasmissioni che segnano una svolta nel costume nazionale. Aldo Cazzullo, Corsera.

Ho cambiato idea su tante cose dopo l’esperienza Covid. Mi son tolto tutte le soddisfazioni che mi potevo togliere, ho avuto una vita ricca, ma adesso ho visto quanto è sottile il filo che ci attacca alla vita, ho visto che basta un attimo. È un’esperienza che mi ha migliorato come uomo e persona, sono più forte di prima e ho ribaltato le mie priorità. Rimangono sempre dieci. Ma l’ordine è diverso. Capisci il valore delle piccole cose della vita, un giro in bicicletta, trovarsi con tuo figlio al parco, una camminata: più sono banali e stupide e più valgono, persino una partita a carte con gli amici. La verità è che devo tenermi ciò che di buono questa esperienza mi ha dato, ma anche ciò che di brutto mi ha dato. Gerry Scotti, presentatore tv (Renato Franco), Corsera.

Il primo dipinto lo acquistai nel 1959, o forse il 1960: Moulin Rouge di Eugenio Degani. Il pittore veronese nel 1961 si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con Arman. Dalla Francia portava idee che a quel tempo non capivo. Sono nato a Verona nel rione di San Zeno, perciò sentivo di dover cominciare dai pittori di casa mia e arrivare ai fiamminghi solo dopo. Siamo sempre stati servi di Venezia, noi scaligeri, basti pensare alla vita di Paolo Caliari, detto Il Veronese, costretto a emigrare in laguna. Luigi Carlon, industriale, creatore del Museo Palazzomaffei di Verona (Stefano Lorenzetto). Corsera.

In prima liceo studiavo poco e prendevo voti alti. Mio padre si insospettì e mi trasferì al Parini, struttura austera e gerarchica. Il professor Pelosi, insigne grecista, mi accolse dicendomi: «Beh, adesso fanno entrare anche i barbari al Parini?». Avevo finito di vivere di rendita: per tre mesi non uscii di casa. Salvatore Veca, filosofo (Pierluigi Vercesi). Corsera.

Non ce la faccio a stare dietro al ritmo della velocità crescente e alla quantità di cose che sforna la comunicazione letteraria. Mi appare sempre più difficile interrogare i linguaggi del passato e quelli che percorrono il presente, dal momento che l’inquinamento acustico e informativo ha toccato vette parossistiche. Una società che non sa concepire o dare un limite a questo sviluppo, una società che anzi ostenta il moltiplicarsi infinito dei messaggi è destinata a non riconoscersi più in quello che fa. Giulio Ferroni, critico letterario (Antonio Gnoli). Repubblica.

Per capire quanto 1984 fosse legato allo stalinismo, con l’intento di farlo a pezzi, basta leggere la recensione lapidaria che ne fece la Pravda del 12 maggio 1950: «Il sordido libro di Orwell», dice il critico, è perfettamente in linea con la politica ispiratrice «della propaganda americana». Orwell, «anima venale», ha agito «per ordine e istigazione di Wall Street». Il suo romanzo è da annoverarsi tra i «veri e propri attacchi ai popoli di tutto il mondo». Meglio ignorare il «veleno delle sue infamie». Alessandro Gnocchi. il Giornale.

Ti ricordi di don Ignazio? S’era ridotto a vivere in un «basso» a Mergellina. L’ultimo bombardamento gli ha spazzato via tutto. Figurati che nella fretta di scappare lasciò sul comodino perfino i denti finti. Nella domanda di risarcimento aveva scritto: «Pregovi disporre d’urgenza che mi venga assegnata una dentiera, non potendo, in mancanza, fumare la pipa». Giuseppe Marotta, L’oro di Napoli. Rizzoli, 1986.

Il libro del paparazzo Fabrizio Corona è perfino morale, non moralistico ma morale, perché non c’è niente di più morale che non nascondersi. Ragione per cui mi hanno sempre fatto sorridere le paranoie delle persone sulla privacy, perfino le resistenze quando si parla di tracciarle per sconfiggere una pandemia: ma cosa avete da nascondere, visto che mettete tutto su Instagram? Massimiliano Parente, il Giornale.
L’amicizia è più rara dell’amore perché la stima è più rara della passione. Roberto Gervaso.