il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2020
La partita di calcio tra Unità e Pci
Non erano quattro amici al bar, come nella canzone di Gino Paoli, ma giovani comunisti, redattori o dipendenti dell’edizione piemontese de l’Unità. Uno di loro era Diego Novelli, che sarebbe diventato sindaco di Torino. Tra gli altri spiccava il maremmano Adalberto Minucci, futuro dirigente del partito e tra i personaggi di un romanzo (La battaglia soda) del conterraneo Luciano Bianciardi. E c’erano Manfredo Liprandi, tipografo diventato cronista, stampatore dei giornali clandestini della Resistenza, e Riccardo Marcato, finito poi al Corriere della Sera e autore con Piero Novelli del giallo di successo Il commissario di Torino.
Il 31 maggio del 1954, che era un lunedì, Diego Novelli e compagni ricevettero una letteraccia di Luciano Barca, allora responsabile della redazione torinese de l’Unità, inviata per conoscenza anche a Gianni Rocca, in seguito tra i fondatori di Repubblica. Barca li strigliava duramente, preannunciando un richiamo scritto, perché sul giornale di quel giorno aveva letto “il testo di una notizia falsa”, come scrisse, “relativa all’incontro di calcio Federazione del Pci – l’Unità tenutosi ieri a conclusione del congresso del partito. In tale notizia voi ‘al fine di fare uno scherzo ai compagni della Federazione’ falsificate i fatti scrivendo che la squadra de l’Unità è risultata vincitrice”. E aggiunse: “Quanto è accaduto mi costringe purtroppo a dare un giudizio severo sulla vostra serietà e maturità politica: mi sembra impossibile che sette funzionari di partito, alcuni dei quali molto anziani del giornale, non si siano resi conto che l’Unità non è un loro organo privato di stampa sul quale possono divertirsi a loro piacimento con delle bambinate, ma è l’organo centrale del partito che ha una sua responsabilità pubblica di fronte a migliaia e migliaia di lettori”.
Ancora oggi, 66 anni dopo, basta citare la data della lettera e il nome di Barca perché Diego Novelli risponda subito: “Ah sì, la lettera di Barca a me, a Minucci, a Liprandi, a mio fratello Walter… Fu per lo scherzo della partita”. Rammenta Novelli, sindaco di Torino dal 1975 al 1985: “Avevamo perso, e qualcuno, non ricordo bene chi, pensò di fare quello scherzo ai compagni della Federazione, scrivendo sul giornale che avevamo vinto noi. Barca si arrabbiò, ci fecero una sorta di processo, ma ovviamente senza conseguenze”.
Uno scherzo innocente, una “bambinata”, per dirla con le parole di Barca. Una stupidaggine, insomma, che giudicata con il senno odierno, almeno quello predominante in tanti giornali e in tanta politica, non varrebbe nemmeno un tweet. Allora, però, nell’anno 1954, avere tradito i lettori, seppure con un’inezia, per i dirigenti del Pci, e per la moralità del partito, era un fatto grave. La “forza più grossa del nostro giornale – scrisse sempre Barca nella lettera – è quella di battersi ogni giorno per la verità”. Averla sacrificata “allo sciocco desiderio di uno scherzo – continuava – è una mancanza di cui i compagni che hanno commesso il fatto debbono sentire tutta la colpa”. Oggi si riderebbe, certo. Eppure non c’è poi tanta differenza fra il rigore (non calcistico) di Barca e quello – la cosiddetta “austerità” – di Enrico Berlinguer nell’Italia sfasciata degli anni 70.