il Fatto Quotidiano, 5 dicembre 2020
QQAN20 Le lettere di Stefan Zweig al pupillo
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Muoiono entrambi suicidi, a distanza di quattordici anni l’uno dall’altro: mai amicizia fu più intensa e tragica di quella tra Stefan Zweig e Hans Rosenkranz, come si evince dalle Lettere che il primo scrisse al secondo tra il 1921 e il 1933, all’alba dello scempio nazifascista. Mai tragedia fu più annunciata.
Riesumate quasi per caso da una cassetta di sicurezza a Tel Aviv nel 2016, le 24 epistole e 6 cartoline arrivano finalmente in Italia grazie a Giuntina, con la curatela di Susan Baumert e Francesco Ferrari: al di là del loro valore letterario e storico-documentale, queste Lettere a Hans Rosenkranz vivono di una strana e sinistra magia, quella di tutte le profezie che poi diventano realtà. Siamo nella Mitteleuropa devastata dalla Grande guerra, ma brulicante di talenti e idee; nel 1921 – ben prima dell’avvento del nazionalsocialismo, ma pure dell’italico fascismo – solo Zweig intravede il futuro: “Chissà, forse la Germania e l’Europa diventeranno così cupe che lo spirito libero non potrà più respirarvi”. Perciò, consiglia al giovane pupillo Hans di imparare le lingue e andarsene quanto prima dalla sua Prussia, “in un Paese in cui il problema ebraico non scotta con tanta urgenza come da noi. All’estero… nessuno chiede della razza” (la lettera integrale è riportata nell’anticipazione qui accanto, ndr). E non è neanche l’inizio della fine.
A legare i due intellettuali è un rapporto intimo, quasi tra padre e figlio: negli anni Venti del secolo breve, Stefan Zweig (1881-1942), 40enne, è già uno scrittore affermato, critico, editore, agente e biografo, forse il più grande dopo Plutarco; Hans Rosenkranz (1905- 1956) è un brillante sedicenne in cerca di un mentore e di spunti letterari, lui che è stato un bambino prodigio, nato nella stessa città di Kant, la fu Königsberg, ex Prussia, oggi Russia. Oltre all’amore per l’arte e la letteratura, i due condividono le radici ebraiche, sentendone tutto il peso ancora prima che l’Olocausto si compia, confrontandosi tra loro e con amici come Theodor Herzl, Romain Rolland e Arthur Schnitzler, tra gli animatori del vivace dibattito culturale dell’epoca, “il divampare della fiamma – scrive Zweig – prima del tramonto, un guizzo nella tempesta d’odio del mondo”.
Non mancano ovviamente suggerimenti squisitamente letterari, consigli di vita – “Si trovi una professione ben fondata” – e stoccate al senso comune: “Se a malapena ci si può vantare delle proprie imprese, mai si può farlo per quelle di una massa omogenea (si pensi al filisteo tedesco che si richiama a Goethe, o al fannullone italiano che si richiama a Dante)”…
Il carteggio si interrompe nel gennaio del 1933, Annus horribilis, con Hitler che sta per salire al potere a fine mese e i roghi di libri già in piazza. Zweig, tra i primi autori a essere bruciato è anche tra i primi a prevedere la catastrofe: migra in esilio a Londra nel 1934 e successivamente in Brasile. Rosenkranz, invece, cerca rifugio in Palestina, arruolandosi poi in guerra nell’esercito britannico e come capitano della Brigata ebraica in Egitto. Torna infine in Palestina, dove lavora come giornalista fino al 1956, quando si toglie la vita.
Anche Stefan, il suo antico maestro, si era suicidato nel 1942, assieme alla sua seconda moglie: “Saluto tutti i miei amici! Che dopo questa lunga notte possano vedere l’alba! Io che sono troppo impaziente, li precedo”. È sempre stato in anticipo, Zweig, sui suoi amici, sui suoi allievi, sulla storia tutta: “Se essere ebreo è una tragedia, così vogliamo viverla”. Era solo il 1921.