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 2020  dicembre 05 Sabato calendario

Biografia di Fabio Paratici

La storia del calcio è popolata di campioni perduti, di talenti mai sbocciati perché traditi dalla fortuna. Alibi, di solito, oppure spacconate, nel caso di Fabio Paratici pura verità: chiedere a Pippo Inzaghi, amico d’infanzia, cresciuto con lui nelle giovanili del Piacenza tra sogni, gol e barattoli di nutella, compagni anche alla ragioneria di Borgonovo Val Tidone, paese di nascita del dirigente bianconero. Superpippo spergiura che Fabio era un esterno destro fortissimo, sia in difesa sia a centrocampo, non casualmente capitano della Primavera e già a diciassette anni in prima squadra. Purtroppo, nel ’94, quand’è in prestito al Fiorenzuola, rimane coinvolto in un terribile incidente stradale: fratture multiple, un anno di stop, il ritorno con la maglia del Pavia e la consapevolezza di non essere più lo stesso. Comincia così a girovagare per l’Italia, a bazzicare campi polverosi e categorie dove si vive di sacrifici e di salario. Da Marsala a Novara, da Lecco a Torre Annunziata, il tramonto a Giugliano e Brindisi, dove una cena gli cambia vita. A margine d’un evento, finisce infatti a tavola con Beppe Marotta, impressionato, attraverso una semplice chiacchierata, dalla sua profonda conoscenza calcistica: Paratici, per passione, divora video e dirette, memorizza le caratteristiche di campioni e di promesse di tutto il mondo, e l’allora direttore sportivo della Samp l’invita a lavorare con lui.
Coordina gli osservatori, dimostrandosi talent eccellente, capace di coniugare i segreti della tecnologia con l’antica arte dello scarpinare e con il fiuto, poi, nel 2010, sempre dietro Marotta, passa alla Juventus. L’attuale amministratore delegato dell’Inter, chiamato da Agnelli per rilanciare il club, lo vuole come direttore sportivo, riconoscendogli, oltre alla competenza, l’aplomb e volendo anche il physique du rôle bianconero: giovane, di poche parole e buona dialettica, con una rete preziosa di conoscenze all’estero e un’ottima padronanza delle lingue. Fabio studia, si aggiorna, cresce, lavora sodo e non cambia di una virgola: macina chilometri, trema di freddo in stadioli sperduti, ha un esercito di segugi ma si muove personalmente prima di approvare un investimento. Marotta si dedica sempre più alla parte amministrativa e politica, le strategie si sviluppano attraverso il confronto ma lui ha piena fiducia per la parte tecnica, lo scouting, il rapporto con i procuratori. E da qui nasce l’operazione Ronaldo, perché l’agente Jorge Mendes si rivolge a lui, mentre trattano il terzino portoghese Cancelo, per proporre il fuoriclasse apparentemente irraggiungibile. Molte cose cambiano quando la Juventus decide di ringiovanirsi e rinuncia a Marotta promuovendo Paratici al vertice dell’area sport: ne ha tutte le qualità, la sensazione è che resti tuttavia troppo legato al suo dna, cerca talenti e allaccia trattative, si distingue per tempestività, ma non ama la burocrazia annessa, l’organizzazione interna, il confine finanziario. Forse cresce troppo in fretta, forse il ruolo è troppo ampio, non sfugge ai confronti e alle responsabilità che impone ma qualche gestione imperfetta – Emre Can e Mandzukic - e qualche scelta poi rinnegata dal club – Sarri – svelano un lato debole. C’è, nel mondo del calcio, chi lo accusa di ingratitudine e spocchia improvvisa, ma forse è soltanto invidia per uno definito nelle intercettazioni di Perugia «più importante di Mattarella».