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 2020  dicembre 06 Domenica calendario

I nuovi stadi: una conchiglia o una vela

Trecento caratteri più o meno (spazi inclusi) erano bastati nel 1966 a Nikolaus Pevsner, John Fleming e Hugh Honour per definire nel loro classico Dizionario di architettura (appena ripubblicato da Einaudi con una prefazione di Vittorio Gregotti) quello che è uno stadio: «Lo stadio, destinato alle corse atletiche, consisteva di due rettilinei e una curva, sullo schema dell’ippodromo in Grecia, del circo a Roma; gli spettatori trovavano posto in gradinate lungo la linea di corsa. Lo stadio moderno è invece sviluppato dall’anfiteatro antico».
Difficile, però, in quei pochi caratteri definire quello che realmente si può racchiudere in uno stadio, in particolare in uno stadio di calcio, un percorso di prestazioni e sentimenti che inizia con Archibald Leitch (1865- 1939), l’ingegnere di Glasgow che ha letteralmente inventato la tipologia dello stadio di calcio moderno: sono più di 20 gli stadi da lui costruiti in Gran Bretagna e in Irlanda tra il 1899 e il 1939, il primo (a pianta ovale, con una tribuna principale coperta su un lato e gradinate in legno a ferro di cavallo sul resto del perimetro) per la squadra di cui era tifoso, i Rangers. A lui si deve, ad esempio, l’idea di utilizzare soluzioni derivanti dalla costruzione delle fabbriche industriali, dei ponti e delle stazioni ferroviarie per le necessità delle gradinate. Sempre suo è il calcolo dell’angolo di visuale: una formula poi affinata nel tempo che permette di decidere la migliore pendenza delle gradinate, in rapporto alla visuale chiara per ogni spettatore (da qualunque posto) e alle dimensioni dei gradoni. 
Da Leitch la storia degli stadi (da calcio e no) porta oggi fino ai mondiali del Qatar del 2022. E alla lunga teoria (nove finora) di arene create (o ristrutturate) per l’occasione, alcune addirittura semoventi e smontabili. Da quella abbastanza tradizionale di Lusail, 15 chilometri da Doha, progettata da Foster+Partners per la partita inaugurale e per la finale alla conchiglia asimmettrica disegnata da Charmaine Waldie. Passando per il sorprendente e discusso stadio Al Janoub, firmato dallo Studio Zaha Hadid Architects che con i suoi 40 mila posti di capienza sarà il palcoscenico predestinato dei gironi preliminari e dei quarti di finale. Il nuovo simbolo della città marinara di Al Wakrah si ispira alle vele triangolari delle tradizionali imbarcazioni utilizzate dalle popolazioni arabe. Grazie a un tessuto pieghettato in politetrafluoroetilene, il tetto può essere esteso per imitare (appunto) l’aspetto di una vela, proteggendo allo stesso tempo giocatori e spettatori nello stadio che (tra l’altro) sarà in grado di pompare aria condizionata a sua volta raccolta, riciclata e raffreddata. 
Ma la (ulteriore) ridefinizione degli stadi guarda già oltre: al nuovo stadio da 34 mila posti per l’Oakland Athletics, una delle squadre professionistiche di baseball della Major League Usa, disegnato dagli architetti danesi del Bjarke Ingels Group che sorgerà nell’Howard Terminal del porto di Oakland, California. Concepito, spiegano gli architetti, come un «campo da gioco all’interno di un parco», il progetto prevede l’utilizzo delle strutture dello stadio anche nei giorni di inattività: così un angolo dello stadio «scende» per creare due discese dove gli spettatori possono passeggiare, passando da un parco di nuova creazione sul lungomare fino alla cima dello stadio mentre il verde sospeso sulle tribune offre agli spettatori delle viste privilegiate sul campo di gioco.
Nel mezzo ci sono gli stadi (e le «ristrutturazioni») delle archistar: il Matmut-Atlantique di Bordeaux (Herzog e de Meuron, 2015); il Wembley Stadium di Londra (Norman Foster, 2007); lo Stadio Nazionale di Pechino conosciuto come «Nido d’uccello» (2008, Herzog e de Meuron con Ai Weiwei); lo Stade de Lumieres di Lione (Populous, 2016); lo Juventus Stadium di Torino (2011, Studi Gau e Shesa); quello di Kaohsiung a Taiwan (2009, Toyo Ito), il primo al mondo in grado di produrre autonomamente energia); lo Stadio Nazionale di Tokyo progettato da Kengo Kuma per l’Olimpiade del 2020, rinviata al 2021 a causa del Covid (il progetto iniziale affidato a Zaha Hadid era stato accantonato per le polemiche e i costi elevati); il Neu Mestalla di Valencia (lavori iniziati nel 2006 attualmente bloccati per i problemi finanziari del club, progetto dello studio Rfa); l’Evergrande Football Stadium a Canon, Cina (disegnato da Hasan Syed, pronto nel 2022, con i suoi 17 miliardi di dollari diventerà il più costoso stadio di calcio mai costruito). 
Un percorso che sembra portare (come era già successo a suo tempo anche con le stazioni ferroviarie e gli aeroporti) a una progressiva ridefinizione dell’idea di stadio, sempre più simile a un megastore o a un centro commerciale.

Un percorso che tocca anche l’Italia. Soprattutto ora che l’emendamento «sblocca stadi» inserito nel decreto Semplificazioni (8 settembre 2020) ha tolto alle Soprintendenze il diritto di veto sulla ristrutturazione di impianti vincolati, consentendo di accelerare gli interventi di modifica ma anche di superare alcune prescrizioni paesaggistiche e culturali che richiedono l’ok della Sovrintendenza. Al momento, in Italia, sono soltanto cinque gli stadi di proprietà: Allianz Stadium di Torino per la Juventus, Gewiss Stadium di Bergamo per l’Atalanta, Mapei Stadium-Città del Tricolore di Reggio Emilia per il Sassuolo, Dacia Arena dell’Udinese e Benito Stirpe del Frosinone. Ma sono ben 10 i progetti di rinnovamento strutturale: cinque riguardano la costruzione di nuovi stadi; gli altri cinque il rinnovamento di impianti esistenti: lo stadio dell’Atalanta, il Ferraris di Genova, il Tardini di Parma, il Mapei Stadium di proprietà del Sassuolo, il Mazza di Ferrara. E sono stati avviati gli iter anche a Milano, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Lecce e Cagliari. Tra le archistar italiane in precedenza coinvolte nella progettazioni di stadi: Renzo Piano autore nel 1987 del San Nicola di Bari (detto l’Astronave) e Vittorio Gregotti autore nel 2011 del (contestato) Ferraris di Genova. 
Lo «sblocca stadi», che porta la firma dell’ex sindaco di Firenze Matteo Renzi, riporta però l’attenzione anche sulla necessità, in certi casi, più di un recupero che di una distruzione-ricostruzione totale: tra i nodi più spinosi sollevati dall’emendamento c’è appunto quello dello stadio di Firenze, il celebratissimo «Artemio Franchi» progettato tra il 1930 e il 1932 da Pier Luigi Nervi (1891-1979), definito nel Dizionario di architettura di Pevsner, Honour e Fleming «il più geniale modellatore del cemento della nostra epoca». Per salvarlo («e non farlo a pezzi») è immediatamente partita una raccolta di firme.