Robinson, 5 dicembre 2020
QQAN64 Su "E se smettessimo di fingere?" di Jonathan Franzen (Einaudi)
QQAN64
Non è esattamente un inno alla speranza il saggio di Jonathan Franzen E se smettessimo di fingere?, inizialmente pubblicato sul New Yorker nel 2019, quando scatenò le ire degli studiosi di clima che lo accusarono di dare informazioni imprecise. Edito in Italia da Einaudi, il libricino di 64 pagine contiene pure un’intervista rilasciata al tedesco Die Welt dove lo scrittore risponde alle polemiche. I cambiamenti climatici, si sa, sono una delle ossessioni dell’autore de Le correzioni. Ma contrariamente a molti scienziati e attivisti, Franzen parte dal principio che è tardi per porci rimedio: impossibile convincere la gente a «mettere da parte nazionalismo, classismo, odio razziale. Convincerla a fare sacrifici per nazioni lontane e generazioni future». Eppure, l’apocalisse – o almeno uno stravolgimento tale da cambiare il mondo così come lo conosciamo – è alle porte. Dire che si può evitare porta all’atteggiamento opposto: all’inerzia della gente, ai provvedimenti “kafkiani” dei governi. Solo prenderne atto, ci permetterà di arrivare preparati a quel che ci aspetta: «carestie su vasta scala, incendi apocalittici, implosione di intere economie, immani inondazioni, centinaia di milioni di rifugiati in fuga da regioni rese inabitabili dal caldo estremo o dalla siccità permanente».
La ricetta dello scrittore è semplice (per quanto possa esserlo nell’era delle fake news): dire la verità. Ammettere che le soluzioni di studiosi ed eminenti figure politiche della sinistra americana sostengono – figure come Alexandria Ocasio Cortez, per intenderci, la madrina di quel Green New Deal secondo cui gli Stati Uniti dovrebbe abbandonare il carbon fossile tanto caro a Trump, per adottare entro 10 anni esclusivamente energie rinnovabili – arrivano troppo tardi. «Se accettiamo di aver perso la guerra ai cambiamenti climatici altri tipi di azioni assumono maggior significato». Certo, bisogna cambiare il proprio comportamento: «ciascuno ha una scelta morale da compiere». Solo democrazie sane sapranno mettere a punto le strategie giuste: «Garantire elezioni eque, combattere la diseguaglianza economica e le macchine dell’odio sui social, istituire politiche migratorie umane, sostenere l’uguaglianza razziale e promuovere il rispetto delle leggi e la loro applicazione sono tutte azioni che in maniera più o meno diretta contribuiscono a mantenere più forti e sani sistemi naturali o umani chiamati ad affrontare la crisi climatica». Già. Ma chi salverà la democrazia?