la Repubblica, 5 dicembre 2020
QQAN66 Parlaci ancora Ippocrate
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Più che mai opportuna, in tempi di ragione spesso offesa, per ignoranza e per superstizione, la lettura dell’opera di Ippocrate, medico dell’antica Grecia, forte di pratica e di filosofia. Della sua vita sappiamo ben poco, ma pare sia stato chiamato più volte a combattere pestilenze, compresa quella funesta che colpì Atene nel secondo anno della guerra del Peloponneso. Dedichiamo dunque ai negazionisti del Covid, ai detrattori della mascherina, agli scettici del vaccino, e prima ancora agli inquinatori alimentari e ambientali, le pagine ippocratiche che Carlo Carena ha mirabilmente selezionato, tradotto e commentato. Proporre oggi L’arte della medicina (un’edizione curata in modo impeccabile senza per questo intimidire il lettore) è un atto d’amore: per una medicina come conoscenza della natura umana immersa nell’ambiente, per una medicina come impresa etica e relazionale. Certo, le conoscenze a disposizione del medico di Cos 2500 anni fa non sono quelle attuali e molti rimedi sanno di fiaba e di meraviglia. Del metodo ippocratico colpiscono la compassione, la fermezza e la capacità di ignorare le sirene della superstizione.
Cara ai neurologi è la sezione dedicata all’epilessia, morbo ritenuto sacro che Ippocrate emancipa dalla magia e dall’oscurantismo pseudo- religioso: «Per nulla più divino e più sacro delle altre malattie, a me sembra averne la medesima natura e origine (…) Provoca dunque questa malattia, come anche le altre più gravi, il cervello». Eppure, stando almeno al direttore di Radio Maria («Questa epidemia è un progetto del demonio»), l’idea di malattia come punizione divina ha ancora un suo pubblico (con 850 ripetitori sul territorio nazionale e più di 4 milioni di ascoltatori alla settimana). E pensare che nel IV secolo a.C. Ippocrate invitava il medico a liberare la sua arte dai vincoli oscuri della «magia e di ogni altra simile goffaggine».
Pagine bellissime sono dedicate alle qualità e ai doveri del medico; all’importanza delle arie, delle acque e dei luoghi; ai vantaggi di un regime salubre; all’obbligo, continuamente ribadito, di lavare il malato e di lavarsi. Pagine altrettanto belle descrivono l’infinita varietà delle malattie, ciascuna accompagnata da un breve, icastico caso clinico. Il vero medico, sottolinea Ippocrate, non deve mai trascurare il contesto: un approccio ecologico che aiuta a capire la sua opera di razionalizzazione ma anche di umanizzazione della medicina. Non è oggi più che mai lampante il rapporto tra salute individuale e collettiva, salute del corpo e dell’ambiente?
Lettere e aforismi compongono le sezioni finali del volume. Tra gli aforismi, il primo, saettante, dice che «la vita è breve, l’arte vasta, l’occasione rapida, l’esperienza fallace, il giudizio arduo», per poi concludere in saggezza ricordandoci che non basta un medico «disposto a fare quanto occorre», perché devono esserlo «anche l’ammalato, gli assistenti, e le circostanze esterne». L’ultimo aforisma chiede al medico di tentare ogni strada sapendo però rinunciare all’onnipotenza e all’accanimento: «Ciò che non curano le medicine, cura il ferro; ciò che non cura il ferro, cura il fuoco; ciò che non cura il fuoco, bisogna giudicarlo incurabile ». Ed eccoci al famoso giuramento. Ritenuto uno dei documenti più importanti dell’antichità, nonché il primo testo deontologico della storia della medicina, ha subìto nei secoli numerosi aggiornamenti. Ancora oggi – presso alcune sedi in versione originale, presso altre in versione moderna (curata dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) – ogni futuro medico, quando si laurea, presta giuramento: una promessa di devozione alla professione e di conseguenza ai pazienti e alla società. Anche se non sono poche le discrepanze tra giuramento antico e moderno (in quello moderno la risolutezza ippocratica in tema di aborto e eutanasia è decisamente attenuata; nell’antico non si fa cenno al consenso informato), entrambi celebrano una medicina autonoma nel giudizio e responsabile nel comportamento, impegnata nell’alleviare il dolore, rispettare la vita, trattare in modo uguale tutti i pazienti, osservare il segreto. Ippocrate eleva a promessa la natura stessa della clinica medica e cioè la fiducia e il rispetto, reciproci, attorno a cui si costruisce la relazione medico-paziente.
E ribadisce la vocazione altruistica della professione. Nella sezione dedicata alle Prescrizioni, raccomanda: «Presentandosi l’occasione di essere generoso con uno straniero o un povero, soccorrili risolutamente. Chi infatti si dimostra umano verso gli uomini, è ritenuto preso da vero amore per la sua arte». Sull’onda di una raccomandazione così intensa e non sempre facile da seguire, verrebbe da aggiungerne altre: non smetterò di esplorare le motivazioni personali che mi hanno spinto a scegliere la professione medica; non esiterò a riconoscere quando le mie ombre di potere, psicologico ed economico, si proiettano su di essa; senza sottovalutare le tecnologie (è anzi proprio Ippocrate a inaugurare la medicina della téchne) ricorderò sempre che non c’è macchina che possa sostituire l’ascolto. Soprattutto, non dimenticherò che in ogni medico c’è un paziente e in ogni paziente c’è un medico.