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 2020  dicembre 05 Sabato calendario

In morte di Enrico Nicoletti

Massimo Lugli, la Repubblica
Il corpo pesante, l’accento romano marcato quasi di proposito, lo sguardo ironico e quell’aria di non prendere mai nessuno sul serio, perfino una certa bonomia, lo facevano assomigliare a Ugo Fabrizi. In vita lo hanno chiamato “Il Secco” o “la Banca”, in morte molti lo rimpiangeranno e altri tireranno un sospiro di sollievo perché, di sicuro, si è portato nella tomba parecchi segreti. Misteri mai risolti, intrallazzi ancora da svelare che potrebbero rovinare, a distanza di anni, più di una solida reputazione.
Enrico Nicoletti, morto a 84 anni, è e rimane un simbolo della stagione più rampante, più sanguinosa e più oscura della malavita romana. Il suo nome resterà associato in sempiterno alla Banda della Magliana ma in realtà “il Secco” ha sempre fatto di testa sua, si è mosso da indipendente per tutta la vita e ha legato i suoi interessi a quelli dei “Bravi ragazzi” soltanto quando e come gli è convenuto. In sostanza erano “Renatino”, “Marcellone”, “L’accattone”, “Er Camaleonte” e compagnia ad avere bisogno di lui, molto più di quanto Nicoletti ne avesse di loro e non a caso, se non dalle condanne, uscì indenne dalla faida interna che decimò la gang, in un’implosione selvaggia di omicidi, ritorsioni, spiate, regolamenti di conti calibro 9 per 21. Neanche un graffio, nemmeno una minaccia. Non male per uno che, probabilmente, non aveva mai impugnato una pistola in vita sua se non la “Beretta” d’ordinanza dei lontani tempi in cui indossava la divisa dei Carabinieri.
La potenza di Nicoletti nasce molto prima degli anni 80, quando una paranza di rapinatori decise di fare il grande salto al grido di “Pijamose Roma”. E come tutte le fortune imprenditoriali all’ombra del Campidoglio cresce e si rafforza di pari passo coi rapporti con la politica. Potere, a Roma, voleva dire Andreotti e soprattutto il suo braccio destro più alla mano: Giuseppe Ciarrapico. Amicizia consolidata e ampiamente descritta in centinaia di faldoni giudiziari. Sono gli anni delle gru, dell’edilizia economica e popolare, delle grandi opere. Una miniera d’oro.
Costruttore ben agganciato, si butta a pesce sul business dei terreni dove sorgerà l’Università di Tor Vergata. Un giovane cronista di “Paese Sera”, Emilio Radice, scopre l’impiccio, ne scrive, scatena un vespaio e “LaBanca” reagisce secondo il suo stile: lo invita a casa sua e gli offre “cinque gettoni da cinque pippi” (milioni) se la pianta di rompere le scatole. Gli va male ma c’è da giurare che ha funzionato in tante altre occasioni: il libretto degli assegni è più micidiale di una semiautomatica, come si scoprirà con la faccenda del “Mondo di Mezzo”.
Dal mattone, “La Banca” si lancia in altre attività redditizie: usura, autosaloni, riciclaggio, investimenti in borsa. Tutta la malavita e gran parte di quella zona grigia che a Roma si definisce “Bru bru” lo sa. «Se porti un melone a Nicoletti alla fine dell’anno te ne ridà dieci». Tantissimi fiutano il guadagno e bussano alla porta della sua villa. Poi tornano. Scrupoloso come un ragioniere, “il Secco” rispetta gli impegni e le scadenze: l’inter esse del 10 per cento è sicuro, basta non fare troppe domande.
Lungimirante, prudente, astuto, Nicoletti si lega alle persone giuste: i Casalesi di Antonio Iovine e Vincenzo Zagaria, i siciliani di Pippo Calò, emissario romano di Cosa Nostra, Alessio Monselles, ex rapinatore, faccendiere dai mille volti e, ovviamente, quei ragazzi turbolenti che si facevano strada a raffiche di mitra, sequestri di persona e relazioni pericolose. Affiancato dai figli Toni e Massimo, fa qualche scivolone da imbecille solo quando denuncia un reddito di 450 mila lire su un patrimonio stimato di 69 miliardi (di lire). Entra ed esce di galera, colleziona scarcerazioni, sconti di pena, nuove denunce, incriminazioni, arresti domiciliari per motivi di salute ma resta fedele alla regola aurea: buttarsi a Santa Nega. Mai un’ammissione, mai un cedimento. «Io boss? Ma de che?» «La Majana? È un quartiere, no? Ah…quelli…li conoscevo così, come tanti altri», fino allo sberleffo sul libro di De Cataldo. «Er Secco? E chi sarebbe? Io? Guarda che panza che c’ho». Vecchio, stanco, malato, potrebbe mettersi in pensione e affidare il timone agli eredi, che dimostrano la stessa stoffa del padre, ma non ci pensa nemmeno: l’ultimo arresto è di nove anni fa, una storia di usura e truffa sulle case messe in vendita alle aste giudiziarie. Ai funerali di certo, ci saranno parecchie persone e parecchi poliziotti in “abito simulato”. E c’è da giurare che non sarà una pacchianata come quelli dei Casamonica.

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Alessia Marani, Il Messaggero
L’anima finanziaria di quella che fu per tutti la banda della Magliana, secondo gli inquirenti, era lui, Enrico Nicoletti. Il vecchio boss si è spento ieri a 84 anni in una clinica romana dove era ricoverato perché affetto da gravi problemi di salute. Soprannominato il «cassiere» della banda, il giudice istruttore Otello Lupacchini che lo indagò nel 93 insieme a Renatino &Co. nella maxi-operazione Colosseo, un procedimento che ha segnato la storia della mala capitolina, lo ricorda come «il collettore di più mondi criminali, con collegamenti indubbi con la politica e la pubblica amministrazione». Anche se lui ha sempre negato ogni ruolo nell’organizzazione criminale. Per il magistrato ora in pensione, «Nicoletti ha rappresentato un momento importante dell’attività di collateralismo alle organizzazioni criminali per massimizzarne i profitti, attraverso articolate attività di riciclaggio». Negli ultimi anni, però, il boss, originario di Monte San Giovanni Campano, in Ciociaria, si era improvvisamente eclissato. «Con lui - dice ancora Lupacchini all’Adnkronos - muoiono probabilmente segreti che si porterà dietro per le attività che ha compiuto, a partire dall’intervento che ebbe nell’ambito del sequestro Cirillo per il pagamento del famoso riscatto. E tanto altro». Ciro Cirillo fu assessore all’Urbanistica della regione Campania e il 27 aprile del 1981 venne rapito dalle Brigate Rosse e rilasciato dopo 89 giorni di prigionia dopo la controversa trattativa Stato-mafia tra Democrazia Cristiana, Br, Servizi Segreti e Camorra. E Nicoletti potrebbe avere avuto un ruolo nella mediazione, così come in tanti altri misteri su cui la giustizia italiana non è riuscita ancora a fare luce. 
Più volte in carcere, detentore dei patrimoni e delle ricchezze accumulate dalla holding del crimine che negli anni 70 e 80 seminò sangue e morte a Roma, Nicoletti, amava il lusso ostentato. Come testimoniava anche la sua dimora con parco in via di Porta Ardeatina, poi confiscata, e destinata dal Campidoglio nel 2005 a sede della Casa del jazz. O il castelletto di oltre 500 metri quadrati con torre merlata e alberi di alto fusto e affaccio sul lago di Castel Gandolfo, anch’esso successivamente sequestrato e confiscato. Il bastone come appoggio, aveva il vezzo di vestirsi di bianco, dal panama alle scarpe. Si favoleggia che nella sua villa avesse immense scarpiere, fatte su misura, per contenere tutte le sue scarpe. Bianche, naturalmente. 

Carabiniere in gioventù, Nicoletti conobbe Enrico De Pedis, Renatino, nel carcere di Regina Coeli. Imprenditore dall’incredibile fiuto per gli affari e gli investimenti, negli anni 60 cominciò facendo fruttare il denaro che gli affidavano gli abitanti del suo quartiere, Centocelle. Iniziò dal basso, poi il salto di qualità. Tra le sue mani, per gli inquirenti, passarono i soldi della banda («era la banca della banda, nel senso che svolgeva un’attività di depositi e prestiti e attraverso una serie di operazioni di oculato reinvestimento moltiplica i capitali investiti dell’organizzazione», l’accusava Lupacchini nella sentenza ordinaria), ma non solo. Inchieste tra Roma e Napoli, più recentemente, lo tratteggiano, negli anni, come una specialista nell’aggiramento delle norme anti-riciclaggio in affari e al servizio dei Casalesi nei settori del commercio e delle costruzioni. Nel luglio del 2011 Nicoletti viene arrestato con Alessio Monselles a poche ore dall’omicidio di Flavio Simmi, il 33enne figlio di uno dei presunti capi storici della Magliana, ucciso in Prati. L’accusa è di essere coinvolto in un giro di usura, truffe ed estorsioni. Instancabile, nel 2013, a ottant’anni suonati incassa una nuova condanna, a 7 anni di carcere, per aver costretto dieci anni prima, con l’aiuto di due guardaspalle, il proprietario di un pub dei Parioli a cedere sottocosto il locale. Per convincerlo, gli disse: «Questa situazione può finire solo in due modi. Uno: con un morto e un arrestato. Due: tu vendi al prezzo che dico io...». Ottenne, poi i domiciliari in ragione dei motivi di salute. La saga del Secco come è nominato il personaggio di Romanzo Criminale ispirato alla sua figura, non sembra però destinata ad eclissarsi per sempre. Il figlio, Massimo, è invischiato in un giro di trasferimenti fraudolenti per aggirare le norme antimafia, un nipote è considerato il commercialista del boss di Ndrangheta Domenico Morabito.