Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  dicembre 04 Venerdì calendario

Lo stilista che ha disegnato le scarpe Lidl

C’è un tocco di made in Italy nel caso commerciale dell’anno: quello delle scarpe Lidl. A contribuire all’ideazione delle ambitissime sneaker, andate a ruba in mezza Europa (Italia compresa) e poi rivendute online a cifre ultramaggiorate, è stato infatti uno stilista del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta. Si tratta del 55enne Roberto Guzzonato, titolare di un omonimo studio di design a Strà, in provincia di Venezia: anche lui era presente alla riunione durante la quale la catena tedesca ha deciso di puntare su questo inedito veicolo promozionale. E ora si gode l’inaspettato successo. «Effettivamente è stato un exploit anomalo e quasi inspiegabile – racconta al Corriere –: il progetto era nato così, quasi per scherzo. Fa sorridere, se si pensa alle tante aziende che si dotano di immense strutture di marketing. Non vi dico le scherzose telefonate dei colleghi: “Ma come? Noi facciamo campionari, giriamo il mondo, ci scervelliamo, poi arriva una scarpa da 13 euro e diventa il prodotto dell’anno: non è giusto”. In un certo senso, posso anche capirli».
Tutto è iniziato a Hong Kong nel 2018.
«Collaboravo già da un paio di anni con Lidl, proponendo e firmando scarpe principalmente da donna e da bambino. Ero partito dall’Italia proprio per discutere del proseguo della collezione, e ci siamo trovati in una sample room per definire i passi successivi. Tra buyer, direttori e modellisti eravamo in tutto una decina di persone. Io l’unico italiano, gli altri cinesi o tedeschi. Ebbene: nell’occasione è emersa la volontà dell’azienda di creare una scarpa che fungesse da spot pubblicitario per i mercati del Nord Europa. È stato quindi selezionato un modello nella stanza e si è deciso di riproporlo con i colori della catena. Questo però è stato motivo di discussione, in quanto alcuni partecipanti ritenevano che Lidl avrebbe avuto difficoltà a vendere una calzatura del genere. Il posizionamento non sarebbe stato ottimale. Non a caso il progetto è poi rimasto in stand-by per qualche tempo».
Invece l’exploit ha avuto del clamoroso. La sua prima reazione?
«Non posso certo attribuirmi il merito aver firmato la scarpa, ma avendo preso parte alla prima fase del suo sviluppo ne sono stato da subito contento. D’altronde nel mondo della moda ogni collezione è sempre un’incognita. Noi designer siamo chiamati a ideare qualcosa che possa essere venduto nel futuro, ma pur con tutti gli sforzi trovare la formula giusta non è mai semplice. Per questo sono rimasto stupito, dato che il prodotto è nato pressoché su due piedi. Ma alla fine nulla accade per caso».
Quale dunque il segreto della Lidl mania?
«Personalmente ho fatto mia questa frase: “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che ai social piace”. Oggi sono i giovani a decidere cosa è bello e cosa no. Possiamo anche produrre le scarpe più pregiate e costose del mondo, ma poi il vero valore che emerge dai social non è quello reale, bensì quello percepito dagli utenti, magari anche alla luce della scarsità del prodotto sul mercato. Lo considero anche un modo per distinguersi: perché comprarsi una scarpa da 700-800 euro solo per essere notati? È un messaggio che deve far riflettere anzitutto gli esperti del settore».
Anche l’Italia, patria dell’alta moda, non ha fatto eccezione.
«Certo, perché spesso questi discorsi lasciano il tempo che trovano. Vero: la scarpa è blu, gialla e rossa. Ma chi siamo noi per dettare canoni di stile? È tutto soggettivo. Se la pensassimo tutti allo stesso modo andremmo in giro in uniforme e avremmo lo stesso taglio di capelli. Sarebbe un mondo grigio e piatto. Questo è invece lo specchio di una società che sta cambiando: se se ne parla, significa che il prodotto è bello».
E in Lidl come hanno commentato?
«A dirla tutta non mi sono parsi particolarmente euforici, forse non hanno ancora realizzato la portata del fenomeno. Ma hanno un sistema di lavoro molto “tedesco” che personalmente apprezzo molto: sono inquadrati e procedono senza scomporsi. Continueranno a farlo. Nel frattempo abbiamo realizzato altri progetti, a breve ne uscirà uno del tutto diverso: meno Lidl e più tecnico. Per il momento non posso rivelare di più».
C’è però chi non ha perso occasione per fare polemica.
«Come sempre accade in queste situazioni, c’è chi ti ama e c’è chi ti odia. Secondo alcuni, se un prodotto costa poco allora deve essere necessariamente realizzato con materiali scadenti o attraverso lo sfruttamento minorile. Ma Lidl è un player così grosso che non può permettersi di lavorare con aziende non certificate. Soprattutto, le persone non competenti in materia non sanno che anche le sneaker dei marchi più conosciuti vengono prodotte negli stessi luoghi e con materiali se non identici, molto simili. A me fa invece piacere chi ha compreso lo spirito del progetto: ho ricevuto tantissimi messaggi di ringraziamento per aver dimostrato che l’estro italiano continua a essere valorizzato nel mondo. E questo per me è motivo d’orgoglio. Considerato il periodo che stiamo attraversando, vicende come questa ci fanno capire che siamo ancora capaci di reagire ai momenti di crisi».