Avvenire, 4 dicembre 2020
6QQAN40 Law, l’uomo che inventò la banconota
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È un libro che il compianto Vittorio Mathieu – autore di una Filosofia del denaro ancora insuperata – avrebbe volentieri chiosato. Come a suo tempo, era il 1988, aveva fatto per quello di Marc Shell, Moneta, linguaggio e pensiero. In questo caso, però, Silvia Maria Busetti consegna al lettore “solo” la biografia di John Law, l’inventore, possiamo chiamarlo così, della “carta moneta”. E dei suoi guai, si direbbe. Scozzese, affascinante giocatore d’azzardo, abilissimo calcolatore, fugge dall’Inghilterra dopo un sanguinoso duello per approdare alla corte del Reggente di Francia, il duca d’Orleans, nel 1707. Quest’ultimo dissoluto quanto basta per scassare l’economia nazionale francese.
L’epoca dei Lumi lo vede protagonista, prima come salvatore della patria (che neppure era la sua) e poi, in una manciata di anni, affamatore e distruttore della stessa economia che aveva reso fiorente.
John Law è autore del “sistema”, gioco di specchi finanziario, attraverso la creazione di una banca semistatale, la Banque générale, che permise di risanare il debito statale e arricchire, ma solo per qualche anno, una società dispendiosa e ingiusta. Il crollo fu disastroso e prefigurò, per entità e coinvolgimento di fette consistenti della popolazione, quello delle cosiddette “bolle speculative” che affliggono l’economia di oggi. Il libro di Silvia Maria Busetti racconta con piglio spedito e la giusta dose di arguzia la vita di un genio della finanza, un precursore dei tempi, nel bene come nel male. Bene effimero e male duraturo? No, bene e male nelle scelte economiche sono quasi sempre, e la storia di Law lo dimostra, ciclici. È vero che solo un gaudente come Law poteva immaginarsi un sistema che, abbandonato l’ancoraggio all’oro, considerasse il valore della moneta connesso alla terra e successivamente alla “fantasia” dei rapporti fiduciari. Il suo trattato, Money and Trade, è la base di ciò che anche oggi è il credito fondiario. Ma lo sviluppo economico di una nazione, secondo lui, andava connesso a qualcosa di più mobile, di qui lo sganciamento del valore di scambio della moneta dal metallo e dalla terra per attribuirlo alla fiducia garantita dalle banche a un pezzetto di carta nella forma di cartamoneta e, con un ulteriore salto nell’incerto e nel rischio, azioni. Karl Marx scrisse nel Capitale che tutto il sistema di Law non serviva a cancellare la base di metallo della moneta ma solo a renderla così volatile da fuggire dalle tasche del cittadino per entrare allegramente nelle casse dello Stato. Sta di fatto che John Law rappresenta un passaggio importante dell’economia occidentale. Oggi, per esempio, ci si stupisce, o la si considera espressione di un mecenatismo disinteressato, del fatto che il mondo finanziario e le banche in genere, partecipino al sistema dell’arte, acquistando e sostenendo il valore delle opere di questo o quell’artista.
Anche in questo caso, e non solo in quello dei “derivati”, c’è lo zampino dell’assiduo frequentatore di tavoli da gioco che fu Law. Fu lui infatti a considerare le opere d’arte come investimento finanziario e nel giro di pochi anni arrivò a possedere non meno di cinquecento opere di artisti come Tintoretto, Raffaello, Tiziano e Leonardo.
(Silvia Maria Busetti, “John Law. Vita funambolesca e temeraria di un genio della finanza”, Liberilibri, pagine 190, euro 16,00)