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 2020  dicembre 04 Venerdì calendario

QQAN30 Ricordi di Giorgio Gobbi

QQAN30
Anno 1990. Mosca. “Ero lì per una tournée teatrale e, ogni sera, a spettacolo finito, era di rito una passeggiata, spesso sulla Piazza Rossa. A mezzanotte, davanti al mausoleo di Lenin, tra freddo, neve e assenza di esseri umani, si avvicina un signore. Mi guarda. Alza di un millimetro il colbacco, libera la fronte e con l’accento russo conferma di avermi riconosciuto: ‘S’è svejatooo!’. Gli altri della compagnia non volevano crederci, risero alle lacrime”.
Giorgio Gobbi è da quasi 40 anni il Ricciotto de Il marchese del Grillo, il servo-confidente-spalla-complice di Alberto Sordi nel film girato nel 1981 da Mario Monicelli, “per me un momento meraviglioso, nato quasi per caso, perché all’inizio Alberto non voleva, mi considerava troppo giovane per stare accanto a lui e in quel ruolo. Poi è nato un rapporto intenso: sono uno dei pochi ad aver varcato la soglia di casa sua; (sorride) comunque ancora oggi, almeno quattro o cinque persone, ogni giorno, mi gridano ‘s’è svejatooo!’, e sempre mi chiedono di quel film, per questo ho scritto un libro”. Che, ovvio, si intitola proprio S’è svejatooo! e ricorda, e ricostruisce, e svela i mesi di quel set.
Ricciotto.
Lo sono diventato grazie a un provino; (ride) quella mattina ho affrontato l’avventura della mia vita a bordo di un motorino Ciao mentre percorrevo il Grande Raccordo Anulare. Una follia. Ma avevo paura di arrivare tardi.
E andò bene.
Sì, ma come dicevo, all’inizio Sordi non ne era convinto, preferiva altri, magari Ninetto Davoli o Franco Califano, quindi persone più grandi di me; comunque il provino avvenne davanti a una macchina da presa, e appena finito chi mi riprendeva mi battezzò: “Speramo che non sta a fa’ du’ film insieme”. “Scusi, non ho capito”. “Er primo e l’ultimo”. E giù a ridere.
E poi?
Piano piano con Sordi è cresciuto l’affiatamento, ed è proseguito negli anni. Ma all’inizio me la sono fatta sotto per la paura.
Addirittura.
Forse non è chiaro, ma sono passato dal recitare in un teatro di parrocchia e, insieme ai miei fratelli, ad Alberto Sordi e Mario Monicelli. (sorride) Mi sento un privilegiato.
Lei in mezzo a dei “mostri”.
Alberto tutti i giorni, prima di girare, mi chiamava per studiare le scene. Era categorico. Preciso. Puntuale. Poi durante le riprese dava il tocco di genio, come la scena di quando prende al volo un chicco d’uva. Solo lui.
Nel cast c’era pure Flavio Bucci.
Alto fenomeno, ma con Alberto non si prendevano, forse per rivalità; un giorno dovevamo girare due monologhi, quello finale di don Bastiano sul patibolo, e l’altro di Gasperino il carbonaro, anche lui condannato. La mattina Bucci fu eccezionale, le 300 comparse si spellarono le mani per la bellezza della sua prova; il pomeriggio, invece, quello di Alberto ebbe minore impatto, se ne accorse, e andò via infuriato; (cambia tono) ad Alberto ho voluto proprio bene.
Uno dei pochi a conoscere casa Sordi.
E quando superavi la porta, dovevi stare attento a tutto, non potevi toccare neanche un portacenere; Alberto viveva in un museo, con pezzi pregiatissimi di antiquariato: era capace di partire per Parigi e solo per acquistare delle abat-jour Luigi XVI.
Torniamo al set.
Alberto aveva dei riti intoccabili: alle 12 arrivava lo spuntino, ed era inderogabile, composto da un camparino e tre o quattro mollichelle di parmigiano; (ride) senza dimenticare che alle 10 era il momento della pizza con la mortazza (mortadella in romano). Senza quella ci si inimicava la troupe.
Sordi per lei.
Figura complessa, articolata; personaggio generoso e allo stesso tempo tirchio; (ci pensa) nel 1983 arriva sul set Fulvio Lucisano (produttore): Alberto lo vede e lo sollecita: “È il mio compleanno, perché non prendi qualcosa da mangiare e bere?”. In sostanza: Lucisano fu costretto a pagare la sua festa dentro Cinecittà.
Quasi goliardia.
Sì, perché di nascosto Alberto poi finanziava orfanotrofi e case per anziani; lo guardavo e cercavo di imparare tutto. Il massimo fu in sala di doppiaggio: ho passato nottate insieme a lui e Monicelli, poi gli spaghetti con il tonno, pane burro e alici, e alle quattro e mezzo del mattino il caffè. Nel frattempo li ascoltavo spiegare e raccontare, spiegare e ricordare il loro cinema, le loro storie, le loro avventure sentimentali.
Esempio.
Non posso, alcune di quelle confidenze sono nate e morte in quella saletta, ma riguardavano donne come la Mangano, la Loren e la Pampanini.
Lei chi è?
Uno fortunato. Mi spiego: quando sono andato al provino era il luglio del 1981. Esattamente 30 anni dopo, luglio 2011, sempre sul GRA, sono stato coinvolto in un grave incidente, e ho impiegato mesi e mesi per riprendermi; lì la mia carriera si è fermata. Con un però: sono riuscito a recitare con i più grandi, da Sordi a Gassman fino a Bruce Willis, e con questo lavoro ho campato e bene. Così l’ho detto a mio figlio: quando morirò, ricordami come un uomo fortunato.