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 2020  dicembre 02 Mercoledì calendario

Sabino Cassese «Il presidente nello sviluppo della democrazia»

6. I turning points dello sviluppo democratico
repubblicano e il posto dei presidenti

L’esame fin qui compiuto sembra
condurre verso la conclusione che i presidenti
siano in certo modo disconnessi
dallo sviluppo della democrazia italiana.
Se si accettasse, infatti, l’idea che vi sia
stato parallelismo tra presidenti e vicende
della democrazia italiana e si riconosce
che vi è stata una forte discontinuità tra
i diversi presidenti, si dovrebbe giungere
alla conclusione che la storia della democrazia
repubblicana ha avuto un andamento
fortemente discontinuo, o almeno
irregolare, procedendo quasi a salti.
Forse la chiave di lettura deve essere
diversa, non considerare l’intero
arco di svolgimento della democrazia
nei settant’anni, ma piuttosto i turning
points. Si cercherà, ora, avendo raccolto
gli elementi fondamentali sui presidenti
(gli elementi della storia “interna”), di
aggiungere quegli elementi della storia
del contesto che possano permettere di
inserire la vicenda dei presidenti più fermamente
negli snodi fondamentali della
storia repubblicana.
La storia del settantennio si può distinguere
in tre periodi, un primo quindicennio
che va fino al 1962, e un secondo
trentennio, che si conclude nel 1993,
quando si apre una nuova fase storicopolitica,
la terza.
Le due cesure sono caratterizzate nel
modo seguente. Nel 1962, con il primo
centrosinistra, si allarga la base politica
dei governi, si accelera l’attuazione costituzionale,
comincia un nuovo corso
della legislazione economico-sociale.
Nel 1993, la base politica dei governi subisce
un ulteriore allargamento (preparata
dai governi di solidarietà nazionale,
dal compromesso storico e dal pentapartito),
si accelera l’esigenza di riforma costituzionale,
si avvia (per fermarsi subito
a soli regioni, province e comuni) la presidenzializzazione
del sistema politico.
Nel 1962 si forma il primo governo di
centrosinistra con appoggio esterno socialista
e con il programma di nazionalizzare
l’industria elettrica, di riformare la
scuola media, imporre la cedolare sulle
azioni, adottare una legge sulle pensioni.
Seguirà, nel novembre 1963, il primo
governo Moro, con il centrosinistra organico,
che include i socialisti.
L’altra svolta, quella del 1993, ha una
lunga preparazione. Moro nel 1970 propone
la “strategia dell’attenzione” verso
i comunisti. Nel 1976, al XIII congresso
della Dc, pone «il problema del Partito
comunista, del difficile accesso al potere
delle masse popolari che in esso si riconoscono
»65. Seguono, nel 1976-1978, il
III governo Andreotti, di “solidarietà
nazionale”, con l’astensione del Pci, e,
poi, nel 1981-1991, il pentapartito. Nel
1993 producono effetti diversi fattori,
politica referendaria, Tangentopoli, crisi
dei partiti. Si avvia un’esperienza diversa,
con il movimento comunista pienamente
legittimato ad accedere al governo
dopo i lunghi anni della conventio ad
excludendum. Fluidità dell’elettorato,
crisi dei partiti, personalizzazione della
politica influenzano anche l’azione dei
presidenti.
Scanditi da queste due cesure, vi
sono tre periodi storici del sistema politico,
ben caratterizzati. Nel periodo
1948-1962, governi senza socialisti e
comunisti, scelte atlantiche ed europeiste
(“vincolo esterno”), riforma agraria
e Cassa per il Mezzogiorno, «lentissima
fondazione dello Stato repubblicano»66.
Nel periodo 1962-1993, governi di
centrosinistra, completamento dell’attuazione
costituzionale (regioni), scuola
media unica, leggi di riforma (nazionalizzazione
elettrica, “Nota aggiuntiva”
La Malfa, programmazione economica,
leggi sulla casa, tributaria, sulla finanza
pubblica, sulla dirigenza, sull’antitrust,
sullo sciopero nei servizi pubblici, sul
procedimento amministrativo), avvio
dei progetti di riforma costituzionale.
Nel 1993 ha inizio una diversa fase,
che si apre con la crisi dei principali partiti
di governo e la formula elettorale in
prevalenza maggioritaria, e l’aspirazione
a “conoscere il governo la sera dell’elezione”,
cioè a rimettere la scelta dell’indirizzo
politico al popolo, invece che a
Parlamento e governo. Inizia quella che
è stata chiamata “seconda Repubblica”,
anche se non caratterizzata da un cambiamento
costituzionale, ma solo da due
modificazioni estranee in senso stretto
alla Costituzione formale: la modificazione
della formula elettorale e la fine
dei maggiori partiti del secondo dopo-
guerra, in particolare del partito cerniera,
la Dc.
Non è nell’arco dell’intero settantennio
che la vicenda presidenziale si intreccia
con quella della democrazia, ma
in queste fasi di snodo, di passaggio, in
corrispondenza degli allargamenti della
base non dello Stato, ma dell’esecutivo.
Ma in queste fasi i presidenti sono
parte della complessiva vicenda politica
in modi peculiari. Sono talora i protagonisti,
talora gli antagonisti. Sono rilevanti
essi stessi, così come sono rilevanti
coloro che li hanno scelti.
La prima svolta, quella del 1962, ha
intorno a essa, nel giro di quegli anni, tre
presidenti, Gronchi (1955-1962), Segni
(1962-1964), Saragat (1964-1971). Il primo
– come abbiamo ricordato – prepara
la svolta. Il secondo è scelto per rassicurare
e nello stesso tempo guidare la
parte più importante del partito di maggioranza
relativa. Il terzo sarà il garante
della formula di governo. Al governo, in
quegli anni, salvo una breve parentesi,
Fanfani e Moro.
La seconda svolta, quella del 1993,
viene guidata da Scalfaro (1992-1999),
seguito da Ciampi (1999-2006). Al governo,
Ciampi e Berlusconi, in modi diversi
ambedue degli outsider.
Una terza svolta si colloca nel 2017-
2018, dopo un quarto di secolo circa,
dominato nella seconda parte dalla crisi
economica, che richiede maggiori poteri
arbitrali del presidente. Ma è troppo
presto per scriverne.
La conclusione di questa analisi è che
i presidenti non sono stati estranei alla
storia della democrazia repubblicana italiana.
Vi hanno giocato un ruolo importante.
L’hanno giocato però senza continuità.
L’hanno giocato loro e l’ha giocato
chi li ha scelti. L’hanno giocato da protagonisti
e da antagonisti. L’hanno giocato
in funzione dell’allargamento della base
popolare dei governi e in funzione della
penetrazione di nuovi interessi e di nuove
istanze popolari nella legislazione e
nello Stato. Non l’hanno giocato by goal
setting e by orchestration (con l’eccezione,
forse, di Gronchi), ma come facilitatori.
Solo in pochi casi hanno agito come
“contropoteri”, fuori del coro (in parte
Pertini, Cossiga, nell’ultima parte della
sua presidenza, Napolitano).
La storia dell’imparzialità presidenziale,
del presidente potere neutro, va
quindi considerata come un artificio
retorico, diretto ad ammantare le scelte
presidenziali di una nobiltà che le tenga
fuori del dibattito più strettamente politico.
Va abbandonata anche la comune
credenza dell’esistenza di una panoplia
stabile di poteri presidenziali, tutti
sempre a disposizione dei presidenti. In
realtà,
i poteri presidenziali sono in proporzione
inversa alla forza dei governi
e alla loro stabilità. Ciò va ascritto ancora
una volta a merito dei costituenti,
che hanno provvisto governi claudicanti
di un bastone, anche se essi non pensavano
probabilmente che giungesse fino
ad assicurare legittimazione a governi
senza forte appoggio parlamentare (cosiddetti
governi del presidente). Così
come fa parte della saggezza costituente
d’aver costruito un vertice costituzionale
in modo che quasi sempre presidente
della Repubblica e presidente del Consiglio
dei ministri siano di orientamenti
antagonistici o almeno diversi, e siano
così costretti a coabitare, controllandosi
reciprocamente. Insomma, i costituenti
non avevano idee chiare, ma riuscirono
tuttavia a configurare, sia per la parte
che regolarono, sia per quella che lasciarono
vuota, l’istituzione presidente in un
modo che è stato funzionale ai passaggi
fondamentali della storia repubblicana.

* Ringrazio Giancarlo Montedoro, consigliere
del Presidente per gli affari giuridici e le relazioni
costituzionali, e Marina Giannetto, sovrintendente
dell’Archivio storico della Presidenza
della Repubblica, per l’ausilio nella raccolta dei
dati sull’esercizio dei poteri presidenziali, nonché
per i suggerimenti; Antonmichele de Tura,
Direttore del Servizio biblioteca della Corte
costituzionale, per l’assistenza nelle ricerche bibliografiche
e Giuliano Amato, Marta Cartabia,
Giovanni Farese, Marco Follini, Carlo Fusaro,
Giuseppe Galasso, Alessandro Giacone, Guido
Melis e Giulio Napolitano per i commenti a precedenti
versioni di questo scritto.


Sta in “I presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia in Italia”