2 dicembre 2020
Sabino Cassese «Il presidente nello sviluppo della democrazia»
5. I singoli presidenti e il loro ruolo
Dall’esame – per così dire – asettico
e comparato dei poteri presidenziali e
del loro uso, passiamo ora a un’analisi
più individuale del ruolo che i presidenti
hanno svolto49.
I presidenti avevano nel loro passato
prossimo l’esempio di De Nicola, un
capo dello Stato provvisorio dal carattere
non facile, con il quale il governo aveva
avuto difficoltà, che era intervenuto
nelle scelte dei ministri e nelle nomine
dei funzionari, dando segni di indipendenza
di giudizio50.
Einaudi dovette dare contenuto, stile,
carattere, alla figura presidenziale. Fu
sobrio e pignolo nello svolgere i compiti
di controllo e di garanzia; geloso e meticoloso
nel difendere le prerogative presidenziali;
rispettoso degli atti interni delle
camere; meno attivo in politica estera
(ad esempio, non andò mai all’estero);
presidente né assente, né notarile. Anche
per lui contarono però le circostanze.
Infatti, cambiò registro, diventando
– come già notato – più “interventista”
con l’uscita di scena di De Gasperi e la
scelta di Pella, che presiedette un «governo
amico», secondo la definizione
degasperiana (1953)51.
Tutt’altro registro ebbe la presidenza
Gronchi. Questi, probabilmente confortato
dal consiglio di Mario Bracci – toscano
come Gronchi – sopra riferito, fu
un “presidente protagonista”, convinto
che il Quirinale fosse un «organo attivo
»52. Alla «ricerca di una legittimazione
propria», con le sue esternazioni cercò
di dare un «indirizzo presidenziale» e
fece «un uso spregiudicato dei poteri
di intermediazione politica»53: fautore
di un’apertura ai socialisti, utilizzò i poteri
di impulso e di stimolo, fu attivo in
politica estera, appoggiò le aperture di
Enrico Mattei ai paesi produttori di petrolio,
si interessò alla formazione della
lista dei ministri in occasione delle crisi
ministeriali.
«Con Segni la DC riesce per la prima
e l’ultima volta a imporre il leader di
una delle sue potenti correnti alla testa
dello Stato». Segni, nel biennio della sua
presidenza, fu «più attento ai problemi
dell’organizzazione dell’apparato e della
tutela della stabilità dello Stato che a
quelli della realizzazione dei principali
contenuti della Costituzione», nonché a
quelli dibattuti nell’opinione pubblica.
Con lui aumentarono i rinvii delle leggi
e gli interventi informali sul governo, ma
furono diversi da quelli di Einaudi, che
erano piuttosto rilievi e consigli, mentre
quelli di Segni ebbero «carattere più oppositivo
che collaborativo»54. Il giudizio
storico sulla scelta di Segni e sulla sua
azione si è ormai consolidato, nel senso
che egli rappresentò una «contromisura
nei confronti della politica di centro-sinistra
», quasi come «istanza di delegittimazione
degli indirizzi riformatori del
centro-sinistra»55. Moro sostenne la sua
candidatura perché un conservatore «sarebbe
stato un messaggio rassicurante
che non avrebbe avuto la forza di fermare
la progressiva convergenza tra democristiani
e socialisti», anche sul piano internazionale.
Tuttavia, Moro sottovalutò
le potenzialità politiche di Segni56.
Ben diverso lo stile del successivo
presidente, il socialdemocratico Saragat.
La sua elezione fu «il suggello del centro-
sinistra». Egli si identificò con la formula
di governo, tanto da sperimentare
i «mandati vincolanti» al ripristino della
formula ai presidenti incaricati. D’altra
parte, mentre la sua fu una presidenza
«notarile», fu accusato di voler fare la
sua politica estera57. Insomma, Saragat
portò nella presidenza le sue precedenti
esperienze di leader politico socialdemocratico
e di ministro degli Affari esteri.
Il successivo presidente, Leone, si ritrasse
in un ruolo meramente garantistico,
di tipo notarile, «rispettoso del libero
gioco delle forze politiche»58 (anche se
furono suoi due scioglimenti anticipati
delle camere e durante la sua presidenza
i governi ritornarono alla formula centrista).
Tutt’altro registro ebbe la successiva
presidenza, quella di Pertini. Questi, nel
pieno dello svolgimento della politica di
solidarietà nazionale, dette una «interpretazione
fortemente attivistica» del
ruolo presidenziale, fino a giungere alla
formazione di «governi del presidente»,
con ministri indicati dal presidente, quasi
che i governi dovessero avere una doppia
fiducia, quella presidenziale e quella
parlamentare. Ma la principale trasformazione
della presidenza con Pertini
riguardò il potere detto di esternazione,
fortemente ampliato59, a partire dalla denuncia
televisiva da lui fatta dei ritardi
dei soccorsi per il terremoto irpino. Infine,
va ricordato che Pertini per la prima
volta dette incarichi di governo a politici
non democristiani (i due brevi governi
Spadolini del 1981-1982 e i due governi
Craxi del 1983-1987). Bisognerà attendere
le modificazioni politico-costituzionali
del 1992-1993 per vedere a capo
del governo altri due non democristiani
(Amato nel 1992 e Ciampi nel 1993).
Di altro genere l’attivismo di Cossiga,
che cominciò ispirandosi al modello del
presidente notaio, e anche promuovendo
una diminuzione dei poteri presidenziali,
con le norme di “de-presidenzializzazione”,
e passò poi a svolgere il ruolo
di presidente molto attivo (si segnalarono
i suoi conflitti con il Csm e la quantità
di esternazioni volutamente polemiche,
autodefinite “picconate”, nonché il messaggio
alle camere del 26 giugno 1991,
relativo alle riforme istituzionali).
Attivissimo, ma anche perché costretto
dalle circostanze del passaggio da
quella che viene definita prima Repubblica
a quella che viene definita seconda
Repubblica, fu Scalfaro (pare sia stato il
maggiore “esternatore”60), più rivolto al
mondo strettamente politico, anche per
le turbolenze e i cambiamenti di rotta che
agitarono il suo settennato61. Si può dire
che Scalfaro si comportò da presidente
in piena continuità con la sua formazione
e le attività politiche precedenti.
Ciampi, come Einaudi, giungeva invece
alla presidenza senza una lunga
milizia politica. Ambedue erano stati
ministri finanziari (Einaudi ministro del
Bilancio, Ciampi ministro del Tesoro) e
governatori della Banca d’Italia, ma non
avevano alle spalle carriere di partito. La
principale preoccupazione di Ciampi fu
rivolta a ristabilire un dialogo tra istituzioni
e paese.
Opposta la figura di Napolitano, che
arrivava alla presidenza dopo una lunga
milizia politica e parlamentare (nel Parlamento
nazionale, ma anche in quello
europeo). Anche nel suo caso, il settennato
può essere diviso in due parti,
la seconda delle quali ha richiesto interventi
molto più incisivi, con particolare
riguardo all’assetto politico costituzionale
del paese62, tanto da far scrivere che
egli «ha utilizzato tutte le potenzialità
che [la forma di governo parlamentare]
assegna al capo dello Stato, peraltro
giungendo sino ai loro limiti estremi»63.
Infine, Mattarella sembra nel suo
primo triennio di carica più impegnato
nel mantenere un rapporto con il paese,
probabilmente preoccupato del distacco
tra paese reale e paese legale.
Questa rapida rassegna dei caratteri e
degli stili delle diverse presidenze consente
di notare l’assenza di continuità: tra le
diverse presidenze non vi sono linee continue,
ogni presidente ha una sua “cifra”
o stile, talora dettati dalle circostanze, talora
determinati dalla personalità del presidente
o dalle sue precedenti esperienze.
Ciononostante, si possono riscontrare
somiglianze e continuità per saltum tra
singoli presidenti, a seconda degli aspetti
considerati.
In primo luogo, vi sono stati presidenti
che si sono rivolti più al “palazzo”
(così Einaudi, Segni, Leone, Scalfaro),
altri che si sono rivolti più al paese (così
Gronchi, Pertini, Ciampi, Napolitano).
Un secondo cleavage importante è
quello politica interna/politica estera:
prevalentemente alla prima si dedicarono
Einaudi, Segni, Scalfaro; furono molto
attenti alla seconda Gronchi, Saragat,
Napolitano. Bisogna però considerare
due aspetti. Per i presidenti ha operato
la vecchia tradizione che considerava
prerogativa del capo dello Stato la politica
estera (il presidente rappresenta la
nazione verso l’estero). Nella seconda
fase della Repubblica, con il progredire
nel mondo di bilateralismo, multilateralismo
e globalizzazione, i rapporti internazionali
si sono infittiti.
Un terzo elemento ricorrente è quello
delle continuità interne alle singole presidenze:
le presidenze Einaudi, Cossiga
e Napolitano possono essere, infatti, assimilate,
nel senso che nel loro corso si
registra una cesura, determinata da fattori
diversi ed esterni, che costringono
i tre presidenti a cambiare registro, in
tutti i casi nella direzione di un maggiore
attivismo. Questo mutamento, in forme
meno accentuate, ricorre in generale in
tutte le presidenze.
Queste discontinuità, accompagnate
da elementi ricorrenti, ma a distanza di
anni, confermano la tesi della costruzione
costituzionale della figura del presidente
“a fisarmonica” (espressione che
viene solitamente attribuita a Giuliano
Amato). In essa agiscono, come forze
dominanti, da un lato e principalmente,
le circostanze, in particolare le crisi di
governo, perché richiedono l’intervento
del gestore delle crisi, il presidente;
dall’altro, le esperienze, la professionalità,
il carattere dei presidenti.
Può essere interessante concludere
questa rassegna delle singole figure presidenziali
con la testimonianza di uno
degli autori della Costituzione, Lelio
Basso, testimonianza che risale al 1972.
Alla domanda: «Il presidente deve essere
al di sopra delle parti?», rispose: «È
la sua collocazione costituzionale che
gli consente di svolgere una funzione di
mediatore, garante dell’imparzialità del
potere e del rispetto della Costituzione».
Alla osservazione che «questo è in pratica
il modello di presidente previsto dai
costituenti», disse: «Soltanto previsto.
Perché essere un uomo di equilibrio in
un paese piuttosto incline, come il nostro,
alla rissa, è molto difficile. Tant’è
vero che, almeno secondo me, nessuno
dei presidenti che abbiamo avuto, salvo il
primo, De Nicola, è rimasto nell’ambito
della Costituzione: né Einaudi, né Gronchi,
né Segni, né Saragat»64.
Sta in “I presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia in Italia”