2 dicembre 2020
Sabino Cassese «Il presidente nello sviluppo della democrazia»
4. La living Constitution: i poteri presidenziali
nelle dichiarazioni e nella realtà
La Costituzione è un insieme di prescrizioni
che vivono nell’interpretazione
che se ne dà, a partire dalla declinazione
che se ne fa da parte dei protagonisti, i
presidenti. In che modo questi hanno dichiarato
di voler svolgere il loro ruolo?
Einaudi dichiarò nel discorso di insediamento
(12 maggio 1948) di «non
poter partecipare ai dibattiti dai quali
soltanto nasce la volontà comune»,
una sorta di affermazione di estraneità
alla politica. Pensava che non fosse suo
«ufficio influire sulla politica del governo
»28 e lasciò scritto, terminata la sua
permanenza in carica, che «ho dato alla
norma dell’articolo 95 […] una interpretazione
che, forse, è più larga della
lettera della Costituzione, ma che ritengo
conforme al sistema voluto dalla
Costituente: la politica del paese spetta
al governo il quale abbia la fiducia del
Parlamento e non invece al presidente
della Repubblica»29.
Se già Einaudi si appellava alla fonte
(la Costituente), Gronchi andava oltre,
ritenendo che il Quirinale «non è soltanto
il custode della legge fondamentale
della nazione, ma organo attivo»30.
Secondo Gronchi, la politica «non si
chiude né si identifica nell’espressione
e nella funzione parlamentare»31. Egli
sentiva «il diritto morale di intervenire
su questioni che interessano il progresso
economico della comunità nazionale»32.
Riteneva suo compito di «collaborare
alla formazione del governo»33. Gronchi
dichiarava anche che suo scopo era
di «attrarre nuove forze nell’orbita della
politica democratica e dello Stato repubblicano
»34. E fin dall’inizio del suo mandato
si compiaceva che «forse mai […]
la più alta istituzione della Repubblica è
stata così vicina all’anima popolare come
in questo momento»35. Nel discorso di
insediamento ricorreva continuamente
il riferimento a «una nuova fase» che
inizia. Fece riferimento all’«attesa che
circonda l’inizio del mio mandato» al
concorso del mondo del lavoro, ai nuovi
diritti, alla «linea sociale dell’economia»,
alla disoccupazione, al Mezzogiorno,
all’Istituto per la ricostruzione industriale,
alla necessità che «la Costituzione sia
compiuta negli istituti previsti», pur aggiungendo
che «non è mio compito segnare
dettagliati programmi», ma solo
«orientamenti generali».
Segni, che voleva differenziarsi da
Gronchi e ispirarsi a Einaudi, dichiarò,
l’11 maggio 1962, all’atto dell’insediamento:
«Non a me spetta determinare
gli indirizzi politici nella vita dello Stato,
prerogativa questa del governo della Repubblica
e massimamente di questo libero
Parlamento»36. Aggiunse peraltro che
a lui spettava «tutelare l’osservanza della
Costituzione» e «vegliare sulla continuità
ed unità della Repubblica». In pubblico
prudente, in privato fu attivo e fermo37.
Saragat, nel discorso di insediamento
del 29 dicembre 1964, promise di essere
«un presidente al di sopra dei partiti»,
«un sereno moderatore dei contrasti».
Dichiarazione analoga quella, all’atto
dell’insediamento (29 dicembre 1971),
di Giovanni Leone: «Non spetta [al
Presidente della Repubblica] formulare
programmi
o indicare soluzioni»38. Aggiunse:
«Gli spetta invece il compito di
vigilare sull’osservanza della Costituzione
e di mantenere intatto lo spirito che
alimenta la nostra Repubblica democratica
».
Pertini, nelle dichiarazioni all’atto
dell’insediamento (9 luglio 1978), da un
lato dichiarava che «da oggi io cesserò
di essere uomo di parte» e si impegnava
a essere «tutore delle garanzie e dei
diritti costituzionali dei cittadini» e a
«difendere l’unità e l’indipendenza della
nazione», dall’altro faceva, però, più
chiaramente di altri presidenti un lungo
elenco di obiettivi da raggiungere.
Singolarmente assenti affermazioni
sui propri compiti nelle lunghe dichiarazioni
di insediamento, il 3 luglio 1985,
di Francesco Cossiga, ricche, però, di un
completo giro d’orizzonte, con proposizioni
didattiche e ottative, su tutti i temi
politici, economici e sociali italiani, europei,
mondiali.
La retorica raggiunse il suo vertice
con Scalfaro, il quale, nel discorso d’insediamento
(28 maggio 1992) si dichiarò
«il supremo garante, il supremo moderatore,
il supremo magistrato», affermando
di voler «rimanere al di sopra e al di
fuori di ogni parte», ma nello stesso tempo
invitando il Parlamento a provvedere
alla riforma costituzionale.
Con stile molto diverso, analoghi
furono i punti essenziali delle dichiarazioni
di Ciampi (18 maggio 1999), che
si dichiarava investito di un «mandato
di garanzia costituzionale nei confronti
di tutte le parti politiche», insisteva
su un «naturale sviluppo e aggiornamento
» della Costituzione e giungeva
a indicare i punti della Costituzione da
riformare.
Il tema della riforma costituzionale
ritornava nel discorso di Napolitano (15
maggio 2006), che si proponeva di «favorire
più pacati confronti tra le forze
politiche e più ampie costruttive convergenze
nel paese», assumendo l’«impegno
[di svolgere tali compiti] con la necessaria
sobrietà e nel rigoroso rispetto dei
limiti che segnano il ruolo ed i poteri del
Presidente della Repubblica nella Costituzione
vigente» e ribadendo il «ruolo
di garanzia dei valori e degli equilibri
costituzionali, un ruolo di moderazione
e persuasione morale», con «il senso e
il dovere dell’imparzialità». Più tardi
(15 novembre 2012) dichiarava di voler
«prendersi delle responsabilità senza
invadere campi che non sono suoi» e di
«dovere sempre cercare di interpretare
esigenze e interessi generali del paese
anche in rapporto a scelte del governo».
All’atto della rielezione (22 aprile 2013),
si riservava il «dovere della proposta,
della ricerca della soluzione praticabile»,
aggiungendo che «al presidente non tocca
dare mandati», perché è al governo
che «spetta darsi un programma».
Infine, Sergio Mattarella, il 3 febbraio
2015, ricordava che «all’arbitro compe-
te la puntuale applicazione delle regole.
L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale».
Queste dichiarazioni programmatiche
hanno trovato talora riscontro nei
fatti, sono state in altri casi insincere,
in altri ancora si sono scontrate con
realtà diverse, con contesti modificati,
che hanno costretto i presidenti a scelte
opposte. Più sicuro, quindi, esaminare
la frequenza con la quale i poteri presidenziali
vennero esercitati, esaminando
quelli che possono essere quantificati e
cominciando da quelli più importanti.
Tab. 1. Scioglimenti delle camere39
Einaudi 0
Gronchi 0
Segni 0
Saragat 0
Leone 2
Pertini 2
Cossiga 1
Scalfaro 2
Ciampi 0
Napolitano 1
Se si considera che Leone e Cossiga
hanno sciolto le camere solo a un anno
dalla loro scadenza naturale e che Pertini
le ha sciolte una volta a due anni e
una volta a un anno dalla loro scadenza
naturale, mentre Scalfaro e Napolitano
hanno sciolto le camere a tre anni dalla
loro scadenza naturale, ci si rende conto
del maggior ruolo presidenziale svolto a
partire dal 199340.
Quanto all’andamento complessivo,
come è stato notato da Carlo Fusaro, questo
potere cruciale per la stabilizzazione
del governo «per quarant’anni è stato di
fatto esercitato dalla dirigenza dei partiti
dell’arco costituzionale; poi, nella fase
nascente della democrazia maggioritaria,
proprio a causa della seria crisi che ne ha
permesso il parto non indolore, è stato
esercitato dal capo dello Stato»41.
Tab. 2. Crisi di governo
Einaudi 7
Gronchi 7
Segni 3
Saragat 6
Leone 8
Pertini 8
Cossiga 7
Scalfaro 5
Ciampi 5
Napolitano 5
Anche in questo caso, la cesura va
collocata nel 1993 (presidenza Scalfaro),
in corrispondenza con il passaggio dalla
media annuale di durata dei governi alla
loro maggiore durata (si tenga presente
che dei 64 governi del periodo repubblicano,
1948-2017, solo quattro hanno
superato i mille giorni42, e tre di questi,
Berlusconi II e IV e Renzi si collocano al
di qua dello spartiacque). Però, questa
transizione opera in senso inverso alla
prima, perché diminuisce le occasioni
nelle quali il presidente è chiamato a
svolgere il ruolo dominante di gestore
delle crisi di governo.
Il ruolo presidenziale nella formazione
dei governi ha indotto Mauro Tebaldi
a fare una discutibile tripartizione dei
presidenti tra «astensionisti» (Einaudi,
Segni e Leone), «antagonisti» (Pertini e
Cossiga) e «impositivi» (Gronchi, Saragat
e Scalfaro)43. Certo è che il rilevantissimo
potere d’influenza presidenziale
nella fase di formazione dei governi,
che ha avuto un’estensione massima con
i “governi del presidente”, quasi che
essi dovessero avere una doppia fiducia,
del Parlamento e prima ancora del
presidente, si è contratto dopo il 1993
(anno di approvazione di una legge con
formula elettorale in prevalenza maggioritaria),
quando la nomina del presidente
del Consiglio è stata concepita
come una registrazione del risultato delle
elezioni, ed è destinato a riespandersi
a partire dal 2018, per l’effetto della
tripolarizzazione delle forze politiche,
alcune delle quali frammentate al loro
interno, e della formula elettorale mista
a prevalenza proporzionale adottata
nel 2017.
Tab. 3. Richieste di nuove deliberazioni di leggi
Einaudi 4
Gronchi 3
Segni 8
Saragat 0
Leone 1
Pertini 7
Cossiga 22
Scalfaro 6
Ciampi 8
Napolitano 1
Le richieste alle camere di nuove deliberazioni,
pur non avendo un limite di
materia o di scopo nella Costituzione,
sono state di solito motivate da violazioni
di norme costituzionali, a partire da
quella che prescrive l’obbligo di indicare
la copertura finanziaria degli oneri previsti
da leggi. Come è stato osservato, i
rinvii presidenziali non hanno colpito
leggi di forte impatto politico44. Tuttavia,
come è accaduto per altre funzioni presidenziali,
l’esercizio limitato di poteri
formali è stato compensato dal ricorso a
poteri di analoga portata, ma di carattere
informale, a partire dalla minaccia di
rinvio, fino a giungere all’invio di lettere
di accompagnamento di leggi promulgate,
in cui si chiedono interventi correttivi
o si espongono censure.
Tab. 4. Messaggi alle camere
Einaudi 0
Gronchi 0
Segni 1
Saragat 0
Leone 1
Pertini 0
Cossiga 6 (più 2 lettere)
Scalfaro 1
Ciampi 1
Napolitano 0
Napolitano bis 1
Anche il limitato uso del potere di inviare
messaggi alle Camere, forse il maggiore
potere presidenziale di esternazione
previsto dalla Costituzione, è stato
compensato dall’esercizio di un potere
di esternazione informale, aumentato
progressivamente a partire da Gronchi,
ma già esercitato anche da Einaudi, se
si considerano i telegrammi e altri messaggi
individualmente inviati a persone,
categorie, associazioni.
Tab. 5. Sedute del Consiglio superiore della magistratura
presiedute dal presidente
Gronchi 20
Segni 38
Saragat 28
Leone 21
Pertini 31
Cossiga 20
Scalfaro 18
Ciampi 11
Napolitano 17
Tab. 6. Sedute del Consiglio supremo di difesa
Einaudi 4
Gronchi 14
Segni 4
Saragat 10
Leone 5
Pertini 5
Cossiga 14
Scalfaro 7
Ciampi 11
Napolitano 16
Napolitano bis 5
Tab. 7. Provvedimenti di clemenza individuale
Einaudi 15.578
Gronchi 7.423
Segni 926
Saragat 2.925
Leone 7.948
Pertini 6.095
Cossiga 1.395
Scalfaro 339
Ciampi 114
Napolitano 23
Un esame comparativo di questi poteri
consente di svolgere osservazioni
relative al peso di ciascun potere, alle variabili
che determinano il loro esercizio,
alla loro frequenza e al loro andamento
nel tempo.
Innanzitutto, tra i diversi poteri presidenziali
assume un rilievo e un peso
particolare quello relativo alla formazione
dei governi, che ha una relazione
diretta con l’instabilità governativa. A
partire dalla presidenza Gronchi, tuttavia,
è andato assumendo importanza un
secondo tipo di potere, meno formale,
genericamente definito di “esternazione”
(questo ha avuto, poi, un particolare
sviluppo, anche per l’importanza
assunta da nuovi media, con la presidenza
Pertini). Mentre il primo, quello
relativo al governo, mette il presidente
nel circuito ristretto della formazione
della dirigenza statale, questo secondo
potere, ben poco formalizzato, immette
il presidente in un circuito molto più
vasto, quello opinione pubblica-classe
dirigente, e consente ai presidenti di influenzare
alla base la formazione di indirizzi
politici o di correggerne l’orientamento.
In secondo luogo, è chiaro che l’esercizio
di alcuni di questi poteri dipende
dalle circostanze, è in certo senso o in
certa misura necessitato, mentre per altri
poteri l’esercizio dipende dallo stile
e dalle priorità dei diversi presidenti.
Rientrano
nella prima categoria lo scioglimento
delle camere45 e la gestione delle
crisi di governo, dovuti in larga misura
al contesto politico. Vi rientrano anche
i provvedimenti individuali di clemenza,
la cui variazione (in diminuzione) è in
funzione di due variabili, le circostanze
eccezionali del dopoguerra e le modificazioni
del quadro normativo. Rientrano
nella seconda categoria le richieste di
nuove deliberazioni (in cui si è distinto
Cossiga), i messaggi alle camere (anche
qui si è distinto Cossiga), la presidenza
delle sedute del Csm (un compito in cui
si è distinto Segni, nei due anni della sua
presidenza).
Quanto alla frequenza con la quale
sono stati esercitati i poteri attribuiti dalla
Costituzione ai presidenti, può essere
interessante notare quante volte la gestione
delle crisi – e quindi il principale
potere presidenziale nei confronti dell’esecutivo
– ha impegnato i presidenti,
mentre quante poche volte sono stati
esercitati i poteri di richiesta di nuova
deliberazione e di messaggio alle came-
re – quindi quelli spettanti al presidente
nei confronti del potere legislativo. Può
forse questa dicotomia spiegarsi con la
circostanza che il presidente è – come
già notato – “figlio” del Parlamento,
mentre è “padre” del governo? Peraltro,
lo scarso ricorso ai poteri di richiesta
di nuova delibera e di messaggio alle
camere non vuol dire che i presidenti si
siano astenuti dall’intervenire nel processo
legislativo, perché essi hanno fatto
ricorso – come detto – a note riservate
o comunque non rese pubbliche (ma
Einaudi le pubblicò, anche se forse non
integralmente, una volta scaduto il suo
mandato) o a un’azione di moral suasion,
spesso svolta tramite i segretari generali
del Quirinale.
Quanto agli andamenti, appaiono
notevoli le diminuzioni della gestione
di crisi di governo, dell’impegno diretto
dei presidenti nella presidenza del Csm
e dei provvedimenti presidenziali di clemenza
individuali.
Le indicazioni che si traggono dai
dati sopra riportati vanno però usate con
cautela. Infatti, da esse risulta che Pertini
presiedette anche più di altri presidenti
il Csm. Ma da altre fonti sappiamo
che egli si disinteressò dell’ordine giudiziario,
rimettendone le cure al segretario
generale Antonio Maccanico, che naturalmente
non partecipava alle sedute del
Csm, ma tra le quinte risolveva conflitti
interessanti la magistratura46.
Una seconda cautela va usata nell’assimilare
l’attivismo di alcuni presidenti,
in particolare quello di Gronchi e
quello di Cossiga. Il primo era, infatti,
declinato in termini personali, come
presidente direttamente attivo, in particolare
nella politica estera. Il secondo
era svolto nei confronti del Parlamento,
inteso come interlocutore privilegiato
del presidente.
Infine, vanno considerati anche i poteri
atipici, informali. Ad esempio, quello
– peraltro da più parti criticato – di
esternazione di Pertini, il primo presidente
che vi ha fatto tanto abbondantemente
ricorso e in modo così personalizzato
ed estemporaneo. Oppure i poteri
informali del presidente nel mantenere
rapporti stabili con capi di amministrazione
e vertici militari, come quelli coltivati
da Segni.
È andato qualche presidente al di
fuori dell’ambito dei poteri assegnati alla
carica dalla Costituzione? O, all’opposto,
vi sono state invasioni di campo da
parte di altre autorità, che abbiano eroso
la posizione del presidente? Una esorbitanza
fu quella di Segni, che arrivò a
inserire il comandante generale dei carabinieri,
generale Giovanni De Lorenzo,
e il capo di Stato maggiore della difesa
nelle consultazioni per la formazione di
un nuovo governo47. De Gasperi pensava
di dover lui scegliere i giudici della
Corte costituzionale, ma si scontrò con
Einaudi, che scrisse di non aver intenzione
di lasciare la sua carica al successore
depauperata dei poteri assegnati dalla
Costituzione.
Nell’insieme dei molti poteri presidenziali
un posto a sé spetta a quelli
di gestione delle crisi di governo. È la
formazione di un nuovo governo che
mette il presidente al centro della vita
politica, consentendogli di indirizzarla
con le consultazioni, la scelta del capo
del governo, la formazione della compagine
di governo, le opzioni programmatiche
governative (e i successivi interventi).
In un paese, come l’Italia, ad
alta instabilità governativa (64 governi
in settant’anni), il presidente svolge
dunque di frequente e con grande intensità
la funzione di “indirizzatore”
che la gestazione di un nuovo governo
richiede, e i suoi poteri si estendono o
si riducono in relazione all’incertezza
della situazione e alla durata della crisi.
Segno dell’importanza della funzione
e dei poteri connessi è la formazione,
opera diretta dell’azione presidenziale,
di principi e riti, sia procedurali sia
sostanziali, relativi alle crisi di governo
e alla formazione dei nuovi governi:
consultazione, designazione, mandato
esplorativo, mandato vincolato, nomina
(e forma e tempi della nomina), formazione
del governo, giuramento. Tutte
le norme e prassi formatesi in materia
sono frutto di decisioni presidenziali,
soggette alla duplice variabile delle circostanze
e del carattere, e dello stile dei
diversi presidenti.
Per l’importanza assunta, nell’esercizio
di questa funzione, dallo stile presidenziale,
diversi sono i modi in cui i
diversi presidenti hanno usato i propri
poteri in materia, e frequentemente i
diversi presidenti si sono comportati
in modo differente in epoche diverse.
Certamente Gronchi e Segni sono intervenuti
molto più del primo Einaudi,
ma il secondo Einaudi, quello che scelse
Giuseppe Pella, non fu meno “interventista”.
Lo stesso può dirsi per Cossiga, il
cui settennato può essere diviso in due
parti, la seconda, iniziata dopo un quadriennio
di presidenza, caratterizzata
da una vera e propria metamorfosi, con
Cossiga autodefinitosi “picconatore”.
Si potrebbe anzi pensare che vi sia
un “prima” e un “dopo” nei settennati,
perché la prima fase è di apprendimento
nell’esercizio di una funzione fluida o
elastica, la seconda vede un potere sperimentato
e consolidato; nella prima fase,
il presidente conserva un legame con la
maggioranza che l’ha eletto, nella seconda,
anche per il finire delle legislature, lo
perde. Accurate indagini di storia comparata
potrebbero consentire di accertare
se, quindi, nei settennati, vi sia questa
struttura bifasica ricorrente.
I poteri presidenziali diretti verso il
governo non si fermano alla sua formazione.
Infatti, il dialogo tra presidente e
governo, informale e formale, è sempre
aperto, se non altro perché il presidente
deve autorizzare la presentazione dei
disegni di legge governativi alle camere.
Infatti, i presidenti, in particolare con
alcuni governi, usavano ricevere settimanalmente
i capi del governo, per un “giro
d’orizzonte” sui problemi del momento.
Infine, rimane aperto un ultimo problema,
quello della formazione di vere e
proprie consuetudini che, per accumulo,
portino – come notato all’inizio – a una
progressione dei poteri presidenziali,
come suggerito da chi ha osservato una
«tendenza dei presidenti della Repubblica
all’intervento attivo nell’indirizzo
di maggioranza», con un presidente
dopo l’altro «coinvolto nei problemi
della difficile governabilità italiana» e
quindi portato a «divenire sempre più
istituzione di governo», fino a giungere a
un ruolo di «garante dell’esistenza di un
“contenuto minimo” di regole del gioco
di un modello di democrazia non ancora
realizzato»48.
Sta in “I presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia in Italia”