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 2020  dicembre 02 Mercoledì calendario

Sabino Cassese «Il presidente nello sviluppo della democrazia»

2. I poteri del presidente: un «monarque
diminué»?6

Il presidente è menzionato 19 volte
nella Costituzione, nove direttamente,
dieci indirettamente (oltre a tre volte
nelle disposizioni transitorie). Occupa,
quindi, un posto cospicuo nella Carta.
Ma quali poteri ha, e principalmente
quanti poteri ha per far parte del circuito
democratico?
Nella fase costituente si affacciarono
almeno quattro tendenze: c’era chi propendeva
per una presidenza collegiale,
invocando diversi precedenti; chi voleva
un sistema parlamentare integrale, con
un capo dello Stato solo di rappresen-
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Il presidente nello sviluppo della democrazia 35
tanza, come quello britannico; chi si batteva
per un regime parlamentare con un
presidente dotato di notevoli poteri; una
minoranza, invece, che era convinta della
necessità di un sistema presidenziale,
non parlamentare.
Ai due estremi, i sostenitori della presidenza
collegiale ritenevano «più adeguato
alla realtà italiana configurare un
capo dello Stato collegiale, costituito da
un numero dispari di persone elette in
parte direttamente dal popolo, in parte
dall’assemblea legislativa, restando però
in prevalenza la parte di elezione popolare
»7, mentre quelli che propugnavano
una Repubblica presidenziale osservavano
che «le dittature sorgono non dai
governi che governano e che durano, ma
dall’impossibilità di governare dei governi
democratici»8.
Risultò vincente una soluzione non
molto diversa da quella proposta da
Costantino Mortati, per il quale andava
esclusa l’elezione popolare, mentre andava
prevista l’elezione da parte di un
Parlamento ampliato in modo da rappresentare
partiti, regioni, gruppi economici.
Quanto ai poteri, Meuccio Ruini,
nel presentare all’Assemblea costituente
il progetto di Costituzione, il 6 aprile
1947, definì il presidente «grande consigliere
», «magistrato di persuasione e di
influenza», «coordinatore di attività»,
«capo spirituale della Repubblica», con
una «missione di equilibrio e di coordinamento
» e «influenza decisiva di orientazione
»9.
Nel dibattito all’Assemblea costituente
riemersero i diversi punti di vista
estremi. Chi voleva un presidente forte
osservò che nel progetto il presidente
si presentava come «la figura di un fannullone
» con compiti decorativi (così
Vittorio Emanuele Orlando il 10 marzo
1947). Chi voleva un presidente debole
notò che «nella vita moderna di uno
Stato repubblicano, la figura di un presidente
potrebbe essere eliminata senza
alcun inconveniente» (così Pietro Nenni,
sempre il 10 marzo 1947).
Tirarono le fila Meuccio Ruini, che
fece presente, il 19 settembre 1947, che
si temeva il «pericolo del cesarismo,
del bonapartismo, dell’hitlerismo», o lo
«spettro della dittatura»; Giovanni Leone
osservò, il 14 novembre 1947, che «i
tre poteri dello Stato, avendo come vertice
il Presidente della Repubblica, in
lui si congiungono»; Mortati, secondo
il quale il capo dello Stato doveva essere
«neutro, imparziale, al di sopra delle
parti» (28 novembre 1947).
Insomma, la discussione sul presidente
fu dominata dal timore dell’uomo
forte, nel tentativo di limitare le prerogative
presidenziali. Un ruolo importante
fu svolto, nel configurare il nuovo istituto,
dietro le quinte, da colui che occupava
il posto che si andava configurando,
cioè Enrico De Nicola. Questi fu «determinante
[…] per il suo contributo nella
definizione di ruolo e funzioni del Capo
dello Stato, come supremo moderatore
dei compiti istituzionali e per l’attribuzione
di penetranti poteri informativi su
difesa e giustizia, affidandogli la guida
del Consiglio superiore della magistratura
e del Consiglio supremo di difesa»10.
Si può anzi ipotizzare che l’attribuzione
al presidente di altre prerogative reali
(comando delle forze armate, accreditamento
dei diplomatici, nomina dei funzionari)
sia stata suggerita da lontano da
De Nicola.
Alla fine, la figura presidenziale fu
solo tratteggiata, non interamente disegnata.
Ebbe quindi una configurazione
elastica, “ambigua”, “sfuggente”,
“a fisarmonica”,
come è stato più volte
rilevato, con compiti sia di garanzia e di
controllo, sia di intervento e di impulso,
principalmente quello di gestore delle
crisi di governo e parlamentari.
Uno dei principali commentatori delle
norme costituzionali sul presidente,
Livio Paladin, ha scritto che
dalle discussioni e dai voti dell’Assemblea
risulta […] consolidata questa opinione
prevalente: che il Presidente della Repubblica
vada collocato al di fuori dei tre tradizionali
poteri dello Stato, non facendo più
parte del legislativo (una volta eliminata la
sanzione delle leggi), non disponendo affatto
del giudiziario (salva la presidenza del
Consiglio superiore della magistratura) e
non essendo né il “detentore” né il “capo”
del potere esecutivo alla maniera dello Statuto
albertino11.
Lo stesso autore ha criticato «la scarsa
chiarezza delle idee, l’incapacità di
prevedere i veri problemi che la presenza
e l’azione del […] Capo dello Stato
avrebbero concretamente proposto», a
causa della «deliberata volontà di non
condizionare i possibili sviluppi della
prassi e di non determinare con troppa
precisione le caratteristiche dell’ufficio
presidenziale»12, con la conseguenza che
l’istituto è «caratterizzato da una serie di
antinomie o di contraddizioni interne»13
e si presenta come «la più difficile e la
più sfuggente fra le cariche pubbliche
previste dal vigente ordinamento costituzionale
»14. Carlo Fusaro ha osservato
che il presidente è un «camaleonte»:
un po’ simbolo, un po’ arbitro, un po’
capitano, spesso tutore15. Conclusioni,
queste, che appaiono confermate dal
consiglio di un osservatore d’eccezione
come Mario Bracci, azionista e poi socialista,
studioso di diritto, ministro in
un governo De Gasperi e poi giudice
della Corte costituzionale, il quale suggeriva
a Gronchi, alla fine del 1958, di
muoversi «verso quel tipo originale di
repubblica presidenziale che è reso possibile
dalla lettera e dallo spirito della
Costituzione»16.
Questo, dunque, il punto di partenza,
dal quale non ci si è allontanati,
nonostante le indicazioni nel senso della
forma di governo presidenziale, che
– osservava nel 1980 Giuliano Amato –
«in un contesto sociale eterogeneo ma
non più segnato da contrapposizioni
di sistema, ha una forza che è, insieme,
aggregante e dirimente»17, e nonostante
la legislazione ordinaria di «de-presidenzializzazione
» promossa da Cossiga
(legge 12 gennaio 1991, n. 13, Determinazione
degli atti amministrativi da
adottarsi nella forma del decreto del Presidente
della Repubblica), per scaricare
il presidente del compito di apporre numerose
firme sotto provvedimenti attinenti
alla nomina di funzionari pubblici
di livello inferiore18.
In sostanza, la Costituzione configurò
il presidente, ma lasciò molte porte
aperte, consentendo all’istituto di vivere
vite diverse, di adattarsi alle circostanze
e alle persone, o alle circostanze e alle
persone allo stesso tempo. La cultura
giuridica19 ha potuto, quindi, insistere
sulla funzione garantistica del presidente,
come organo super partes, al di sopra
e al di fuori delle parti politiche20,
sulla neutralità presidenziale (da alcuni
considerata un mito)21, sulla circostanza
che il presidente dispone di una «quantità
di poteri assai superiori a quelli del
re»22, sulla titolarità presidenziale di una
funzione di indirizzo23, sul compito presidenziale
di «tenere in asse la macchina
delle istituzioni e la convivenza civile»,
come «stabilizzator[e] del sistema e catalizzator[
e] di unità»24, sulla funzione
«governante» del presidente, sul suo
ruolo di contropotere o di paciere, sul
suo compito di «provocare le decisioni
», specialmente nel governo delle
crisi25, ha potuto cioè tirare da tutte le
parti la figura presidenziale. Le culture
politologica e giuridica hanno potuto
far ricorso a ogni tipo di metafora e di
immagine, oltre a quella della fisarmonica:
“giroscopio istituzionale”, “re della
Repubblica”, “regolatore del gioco costituzionale”,
“motore di riserva”, “indispensabile
baricentro”.
Questa valutazione è confermata dalla
sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale,
sui poteri formali e quelli informali
del presidente. Secondo la Corte,
il presidente
è stato collocato dalla Costituzione al di
fuori dei tradizionali poteri dello Stato e,
naturalmente, al di sopra di tutte le parti
politiche. Egli dispone […] di competenze
che incidono su ognuno dei citati poteri,
allo scopo di salvaguardare, ad un tempo,
sia la loro separazione che il loro equilibrio
[…] Si tratta di organo di moderazione e
di stimolo nei confronti di altri poteri, in
ipotesi tendenti ad esorbitanze o ad inerzia.
Tutti i poteri del Presidente della Repubblica
hanno dunque lo scopo di consentire
allo stesso di indirizzare gli appropriati
impulsi ai titolari degli organi che devono
assumere decisioni di merito, senza mai sostituirsi
a questi […]. Per svolgere efficacemente
il proprio ruolo di garante dell’equilibrio
costituzionale e di “magistratura
di influenza”, il Presidente deve tessere
costantemente una rete di raccordi allo
scopo di armonizzare eventuali posizioni in
conflitto ed asprezze polemiche, indicare ai
vari titolari di organi costituzionali i principi
in base ai quali possono e devono essere
ricercate soluzioni il più possibile condivise
dei diversi problemi che via via si pongono.
È indispensabile, in questo quadro,
che il Presidente affianchi continuamente
ai propri poteri formali, che si estrinsecano
nell’emanazione di atti determinati e
puntuali, espressamente previsti dalla Costituzione,
un uso discreto di quello che è
stato definito il “potere di persuasione”,
essenzialmente composto di attività informali,
che possono precedere o seguire l’adozione,
da parte propria o di altri organi
costituzionali, di specifici provvedimenti,
sia per valutare, in via preventiva, la loro
opportunità istituzionale, sia per saggiarne,
in via successiva, l’impatto sul sistema delle
relazioni tra i poteri dello Stato. Le attività
informali sono pertanto inestricabilmente
connesse a quelle formali.


Sta in “I presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia in Italia”