Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  dicembre 02 Mercoledì calendario

QQAN30 Il gesto di Pollock, il colore di Rothko

QQAN30

Ci sono libri nei quali si sentono in maniera irresistibile le passioni e i talenti di chi li scrive. Così, leggendo Pollock e Rothko (Einaudi, pp. 194, € 15) si avverte pienamente chi è il suo autore, Gregorio Botta, artista visivo le cui opere sono presenti in alcuni dei principali musei italiani ed europei di arte contemporanea, ma anche giornalista molto noto (e già vicedirettore di Repubblica).
In questo libro della collana «Stile libero-VS» – la cui ragione sociale è quella di rappresentare e fare analizzare coppie antagonistiche – Botta si dedica a ricostruire le opere e i giorni di Jackson Pollock (1912-1956) e Mark Rothko (pseudonimo di Markus Rothkowitz, 1903-1970). Ovvero, le «divergenze parallele» di due giganti dell’arte del Novecento nei quali si compendia, su versanti appunto antitetici, una delle più straordinarie rivoluzioni estetiche che hanno formato il gusto artistico e la sensibilità visiva in cui siamo tuttora immersi, proprio a partire da quegli anni Cinquanta del secolo scorso che hanno visto esplodere la loro carica creativa.
Ambedue immortalati in una famosa foto del periodico Life del 1951 che ritraeva The Irascibles, quindici componenti di quella che di lì a pochissimo sarebbe stata conosciuta come la New York School; un’immagine nella quale anche la fisiognomica e la collocazione scenica mettono in scena due universi paralleli, che si sono incrociati e intrecciati, ma portatori di forze gravitazionali e velocità siderali contrapposte. Dritti fino ai buchi neri, contrappuntati da forme di alcolismo, di due finali di vita drammatici. A conti fatti, le due anime profonde dell’Espressionismo astratto, ma anche i protagonisti di una sorta di «clash of civilizations», uno scontro di civiltà pittoriche, che rifletteva due personalità irriducibili, raccontate da Botta con quel certain regard dell’artista, e pure con la vivacità di un romanzo.
I dioscuri hanno spostato il baricentro dell’arte dal Vecchio continente (Parigi) al Nuovo (New York), come già stava accadendo in molti altri ambiti e sfere. Pollock, caposcuola dell’action painting, è stato il «gesto» puro nella sua quintessenza: quello del dripping, la scarica energetica, al medesimo tempo energia e materia. E, soprattutto, ciò che lui voleva fosse il «marchio» del suo orizzonte di destino, il segno dell’io che lascia la traccia visibile e marcata di sé nel mondo. Anche in questo formidabilmente americano.
Rothko (di origini, e radici, russe), maestro del color field painting, è stato il «respiro», l’elegia della meditazione e della contemplazione, la celebrazione del silenzio e del vuoto. E, dunque, il ritrarsi fino alla completa sparizione dell’io. In sintesi, come scrive Botta, «lo yin e lo yang dell’arte occidentale. O almeno: uno dei tanti yin e yang che la vanno animando». E, in questa oscillazione di polarità, in questo pendolo degli opposti, sembra di sentire anche la tensione intima dell’autore di questo libro bello e intenso, a sua volta diviso tra due «daimon» interiori, una pittura più pollockiana e una scrittura più rothkiana.