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 2020  dicembre 02 Mercoledì calendario

L’ultimo album di Paul McCartney inciso in casa

Anche Paul McCartney, 78 anni, si annoiava a stare chiuso in casa a New York per il Covid. Ha così deciso di incidere un nuovo album, McCartney III, dopo McCartney del 1970 e McCartney II del 1980. A causa del lockdown, che lui ha ribattezzato «rockdown», ha fatto da solo: ha scritto i testi e la musica, cantato, suonato ogni strumento e si è occupato anche della parte tecnica. Rolling Stone ha ascoltato il lavoro in anteprima e gli ha dato quattro stelle su cinque: bucolico, da sentire davanti al caminetto. Esce a metà dicembre ed è l’occasione per una bella intervista a David Marchese del New York Times. Sir Paul ha parlato di tutto: di cosa sono stati per lui i Beatles, del perché forse non saranno mai dimenticati e, ovviamente, del rapporto con John Lennon, della cui tragica scomparsa ricorre l’8 dicembre il 40° anniversario. Ricorda che il corpo di John fu portato alle pompe funebri di Frank Campbell, in Madison Avenue: «"Ci passo davanti spesso e ancora oggi gli parlo: ‘Tutto bene John’, ‘Ciao John’... È sempre difficile per me pensarci, cosa puoi pensare oltre alla rabbia, al dolore? Come per ogni lutto, l’unica via d’uscita è ricordare quanto è stato bello con John».
Si è parlato di gelosie e feroci litigate sull’ordine dei nomi nelle etichette dei dischi, ma McCartney ha solo buoni ricordi di Lennon. «Ho sempre pensato che il nostro rapporto fosse buono. Lo penso ancora. A volte dovevo rassicurarlo che andava tutto bene. Mi diceva: “Cosa penseranno di me quando sarò morto? Sarò ricordato?” Mi sentivo come il fratello maggiore, anche se lui era più grande di me. “John, ascoltami – gli rispondevo –. Sarai ricordato. Sei così eccezionale non è possibile che tutto questo scompaia”. Non riesco a pensare a una collaborazione migliore, e ne ho avute milioni». McCartney ricorda anche l’altro Beatle morto prematuramente, George Harrison: «Tutti mi chiedono di John e mai di George, è comprensibile perchè le circostanze della morte di John sono state così orribili, ma io penso spesso a George: gli tenevo la mano pochi giorni prima che morisse, dicevamo cose stupide ma importanti per me. E credo anche per lui. Gli ho detto: “Andiamo a Speke Hall (un giardino pubblico di Liverpool, ndr): sapevo che era l’unico nella stanza che poteva capirmi».
Marchese e McCartney parlano a lungo di creatività musicale. «Quando ripenso a Yesterday, composta quando avevo 21 anni, mi accorgo che parlavo come un novantenne, quando per esempio cantavo: “I’m not half the man I used to be” ("non sono nemmeno la metà di quello che ero” ndr). Lavori del genere, come anche Eleanor Rigby, hanno in sé una sorta di saggezza. Di solito si pensa, “ok, invecchiando diventerò più profondo”, ma non sono sicuro che sia vero. Penso che la personalità sia un dato di fatto e non cambi molto. Per tutta la vita, sei come sei».
Ma è indubbio che la produzione dei Beatles sia diventata più sofisticata con il passare degli anni, ammette McCartney: «Quando ho detto per la prima volta a John “ho scritto alcune canzoni”, erano semplici. La mia prima canzone si chiamava I Lost My Little Girl, quattro accordi in tutto. Con i Beatles all’inizio parlavamo con i nostri fan: Love Me Do, Please Please Me. Poi è arrivata una vena davvero ricca quando siamo maturati, con cose come Let It Be, The Long and Winding Road. Ma fondamentalmente penso che non cambi molto: c’è qualcosa nella mia capacità di scrivere canzoni di cui non sono responsabile. Sono molto fortunato». McCartney ricorda che Let It Be è derivata da un sogno in cui sua madre aveva usato quell’espressione. Anche Yesterday è nata da una melodia percepita in sogno. «Sono un grande memorizzatore di sogni».
Come si vive con una così grande fama sulle spalle, e così tanti ricordi? I Beatles si sono sciolti 50 anni fa, dopo 10 di successi. «I miei ricordi dei Beatles sono come i ricordi del liceo per la maggior parte della gente». Nelle cene, confessa, a volte racconta storie della sua vita e si accorge che le persone le conoscono già, qualcuno soffoca uno sbadiglio. Se va dal medico, anche quello gli dice che era un fan dei Beatles. I nipotini lo chiamano: «Ti ho visto in tv, eri in una pubblicità». «I Beatles sono inevitabili».
Sir Paul si sente fortunato, sa che le cose migliori spesso capitano per caso. «Ho incontrato John a Liverpool tramite un mio amico, Ivan Vaughan. Nelle vite di tutti c’è un po’ di magia, ma quel ragazzo ha messo insieme me e John, e poi George Harrison un giorno è salito sul nostro autobus e lo abbiamo incontrato. Stavamo solo cercando di farci conoscere, volevamo fare un buon lavoro e lo abbiamo fatto. Ho solo ricordi belli».