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 2020  dicembre 02 Mercoledì calendario

Una nuova raccolta di vignette di Altan

Nella grammatica dei giornali le vignette, specie quelle di satira politica, sono l’equivalente di un editoriale. Spesso valgono più di cento righe di commento per illuminare un evento o un personaggio con la forza icastica dell’immagine e della battuta. Altan, che di questa arte è maestro da decenni come sanno bene i lettori di Repubblica, manda ora in libreria il suo Papi Mami Bebi (Gallucci), una raccolta esilarante che ha la profondità di dieci saggi di politica e di sociologia sull’Italia di oggi.
Fin dal titolo, la protagonista questa volta è la famiglia. Spietata al suo interno, senza più i filtri della vecchia rispettabilità borghese. Lo scontro generazionale non si svolge in piazza come un tempo ma tra il tinello e il salotto domestico. E qui purtroppo è necessario contravvenire alla regola aurea del principe delle rassegne stampa, Massimo Bordin, che da Radio radicale avvertiva che una vignetta non si racconta mai, ma si deve lasciare al lettore la possibilità di vederla. Famiglia in crisi dicevamo. Così quando papà e mamma avvertono la bimba – «senza di noi tu non ci saresti» – la piccoletta spietata risponde ai genitori mettendo a nudo tutta la fragilità della coppia: «E voi due senza di me?». Oppure il bebè sul seggiolone che chiede al babbo: «Perché non mi vaccinate?», e il padre no-vax lo guarda feroce e spara: «Per vedere l’effetto che fa».
Un darwinismo sociale che fa a pezzi anche l’ultimo legame, quello famigliare, che sembrava la trincea finale in cui ci eravamo assestati in attesa che passasse la piena. E invece no. Il nemico è in casa. «Mi sono fatto ali di cera per volare vicino al sole», pigola contento il figlio adolescente. E il patriarca seduto in poltrona, senza nemmeno alzare lo sguardo, si rivolge alla moglie: Fantastico. Togli un posto a tavola, Maria».
I ragazzi, i bambini e le bambine. Sono loro lo sguardo puro sul mondo degli adulti, sono loro, le loro domande spiazzanti, che costringono i grandi, i genitori a rivelare di se stessi l’aspetto più bieco, i pensieri più neri che in pubblico mai si sognerebbero di ostentare. «Io rappresento il futuro di questo paese», afferma orgoglioso il ragazzino. «Non esageriamo con il catastrofismo», lo fulmina il “papi”. Non ce n’è per nessuno, nessuno si salva, nessuno è immune dalla colpa, il disincanto raggiunge la sua vetta più alta.
È l’altra faccia della luna. In quella luminosa abita la Pimpa nel suo mondo a colori. Il lato oscuro è popolato invece da questa umanità cinica e cattivissima, disinteressata al destino della Terra e persino a quello della propria discendenza. Con la tecnica della litografia, Altan lavora sul negativo per lasciare impressa sulla carta l’immagine di una società hobbesiana dove l’unica regola è l’homo homini lupus, anzi peggio: homo filio lupus. «Tu non comunichi babbo», protesta l’adolescente. «E va bene: tanto per cominciare non sono io, tuo padre».
Abbiamo detto dei padri, ma anche le “mami” non scherzano mica. Come la madre tutta fitness che guarda obliqua la figlia non propriamente bellissima e la fulmina mentre la piccola prova a imitarne i passi di danza: «Sei un sacco di patate, Gina. Non sembri neanche una donna». Gli adulti sono narcisi, egotisti, amorali, privi di empatia. Siamo noi così? Altan non porta necessariamente a questa conclusione, lascia intravedere questo esito della vicenda umana forse anche per scongiurarlo. Il cinismo che traspare da ogni battuta è allora la maschera, solo la maschera. Perché la vera cifra di queste tavole è un bisogno quasi disperato di moralità. Morale pubblica e privata, per recuperare una fraternità perduta. Dove non sia obbligatorio per forza trangugiare la “merda”, altra grande protagonista della metafora famigliare altaniana.
Come nella Mafalda di Quino, anche i bambini di Altan spronano i grandi a non rassegnarsi: «Sono turbato, sgomento, confuso», confessa il padre. E la cucciola di casa, ancora con il pelouche in mano: «Incazzarsi mai?».