la Repubblica, 1 dicembre 2020
Imporre il vaccino per legge
Arrivano i primi tre vaccini (Pfizer, Moderna, AstraZeneca). Saranno obbligatori? Mistero. La politica è divisa, con Renzi per il sì, Salvini per il no, tutti gli altri per il non so; tra i virologi s’alza il niet di Crisanti; e come al solito il governo prende tempo. Eppure è una scelta cruciale, per la salute collettiva, per l’economia, per la stessa idea di libertà, nel rapporto fra lo Stato e i cittadini. Difatti a giugno una ricerca dell’università Cattolica di Milano ha scoperto che il 41% degli italiani non intende vaccinarsi contro il Covid 19; però l’immunità di gregge s’ottiene unicamente se il vaccino raggiunge fra il 60% e il 70% della popolazione. Servirà quindi un obbligo, piuttosto che un consiglio. Ma non si può, obiettano i No-vax: sarebbe incostituzionale.
E allora partiamo da qui, dalla nostra vecchia Carta. Dove in effetti la salute viene declinata come un diritto, non già come un dovere; e dove tuttavia l’articolo 32 ammette i trattamenti sanitari obbligatori, purché decisi con legge, e purché la legge rispetti la dignità delle persone. C’è dunque una riserva di legge «rinforzata», così la definì Paolo Barile; e con una doppia conseguenza. In primo luogo, fuori le Regioni: almeno in questo caso, non hanno alcuna competenza. Tocca alla legge statale, non a quella regionale. Perché l’articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la scelta dei principi fondamentali in materia di salute; e perché la profilassi vaccinale vi ricade, disse nel 2018 la Consulta, respingendo un ricorso del Veneto contro l’obbligo di 10 vaccini per i minori. In secondo luogo, dentro il Parlamento. Perché l’officina delle leggi si trova laggiù, non fra i saloni di palazzo Chigi, dove si fabbricano decreti. Stavolta, insomma, non basterà una firma del premier in calce all’ennesimo Dpcm.
Ma a quali condizioni la legge può imporci il vaccino? Non per proteggere i singoli individui, dato che ciascuno ha diritto al rifiuto delle cure. Occorre altresì che sia in pericolo la salute collettiva; e forse quest’unico requisito è sufficiente – stando all’opinione di Costantino Mortati – anche se il singolo non trae benefici dal vaccino. Di più: può ottenerne in cambio un nocumento, un danno alla propria integrità fisica o mentale. Sono le “scelte tragiche” del diritto, come s’esprime una sentenza costituzionale del 1996, a proposito della vaccinazione obbligatoria contro la poliomielite. Il sacrificio di pochi per la salvezza di tanti. Ed è una scelta che spetta alla politica, sia pure sotto dettatura della scienza. Ma è una scelta pure la somministrazione del vaccino su base volontaria, e presenta anch’essa un conto da pagare, in termini sanitari, economici, sociali.
C’è insomma, sullo sfondo, la responsabilità d’una decisione. La nostra Costituzione non la vieta, semmai l’impone. Ma a quanto pare il governo s’avvia verso una terza strada: fra il sì e il no, propende per il nì. La stessa soluzione escogitata per il cenone di Natale, col limite di 6 persone a tavola. Siccome non si possono spedire i carabinieri in ogni casa, ci giungerà alle orecchie una raccomandazione, e intanto stop alla circolazione dopo cena, per evitare tentazioni. Risultato: andremo dai nonni portandoci una brandina da campeggio, per passarci la nottata. Quanto alla vaccinazione, si fa largo l’idea d’affidarsi alle scelte individuali, però confezionando un patentino sanitario, obbligatorio per chi vuole viaggiare. Sicché il vaccino resta libero, ma chi lo rifiuta subisce una sorta di pena detentiva. Da qui, allora, una preghiera ai nostri governanti: decidete di decidere, senza nascondere la vostra (in)decisione.