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 2020  dicembre 01 Martedì calendario

Bilancio di Jean Pierre Mustier in Unicredit

Per la seconda e ultima volta Jean Pierre Mustier si prepara a fare le valige da Unicredit. La prima risale al gennaio 2015, quando il manager francese era a capo della divisione Corporate Investment Banking (Cib). Già allora Mustier era visto come il delfino dell’ad Federico Ghizzoni che nel 2011 l’aveva assunto al posto di Sergio Ermotti. Tre anni dopo Mustier aveva levato le tende perché l’istituto, a suo dire, così come era non aveva futuro: non aveva margini, mancavano idee e iniziative su come aumentare la redditività. E così con grande sorpresa di tutti Mustier se n’era andato dalla grande Unicredit per la piccola Tikehau, il gruppo di fondi alternativi da lui fondato (e su cui Unicredit aveva investito). Ma nel giugno 2016 Mustier era tornato alla guida di Unicredit al posto di Ghizzoni accolto come un profeta che aveva visto lungo. Per risollevare le sorti della banca, il cui capitale era ai minimi per colpa dei crediti di cattiva qualità, Mustier aveva chiesto e ottenuto carta bianca: dalle Fondazioni azioniste e dagli investitori esteri che lo avevano già apprezzato tra il 2011 e il 2015. Nei primi sei mesi Mustier ha fatto in Unicredit quello che nessuno aveva osato fare in un decennio, cedendo gli Npl e portando a termine con successo un aumento di capitale da 13 miliardi. In molti hanno storto il naso quando Amundi ha rilevato il gioiello dei fondi Pioneer: ma nessuno tranne il colosso francese era disponibile a pagare 3,5 miliardi. Stesso discorso per Bank Pekao e per una parte di Yapi Kredi, mentre le quote in Mediobanca (8%) e Fineco (30%) avrebbero meritato una valorizzazione migliore piuttosto che essere cedute sul mercato.
Fatto sta che Mustier in Unicredit ha continuato a fare – anche da ad plenipotenziario – quello che faceva quando era a capo della divisione Cib, senza mai consacrarsi come banchiere né costruire una squadra di manager capaci di creare valore. Il bilancio di chi lo conosce e ha investito su di lui è quello di un manager che ha soprattutto tagliato i costi. Mustier non è riuscito a fare l’integrazione internazionale che sognava e non ha voluto farla in Italia. E così i grandi fondi, che pure hanno seguito il manager nella più grande ricapitalizzazione bancaria mai vista a Piazza Affari, hanno iniziato a perdere fiducia quando Mustier ha iniziato a parlare di buy back. Sostenere che sia opportuno investire 4 miliardi in un riacquisto di azioni (perché cancellando il 25% dei titoli, l’utile per azione sale del 30%) è una visione miope e di breve termine. Parliamo della stessa cifra che Intesa ha investito in Ubi. Miope soprattutto se il capitale in eccesso che Mustier era pronto a investire nel buy back è anche quello raccolto grazie all’aumento di 5 anni fa: allora le Unicredit valevano tra diritto e prezzo di sottoscrizione il 51% in più di ieri.