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 2020  dicembre 01 Martedì calendario

La mafia tira molto in Germania

Da cinquant’anni, milioni di tedeschi compiono un rito, alle 20.15, dopo il telegiornale dell’Ard, il primo canale pubblico, passano la serata di domenica a seguire assassini e altri criminali, la polizia nella perenne lotta contro il male, e che non sempre vince. Va in onda Tatort, parola composta da Tat, fatto, e Ort, posto, come dire il luogo del delitto, e il primo andò in onda mezzo secolo fa, il 29 novembre del 1970, un anniversario che può essere compreso solo da chi vive in Germania.
Il titolo era Taxi nach Leipzig, taxi per Lipsia, e si intuisce che fosse una storia gialla che coinvolgeva le due Germanie. Il muro le divideva da nove anni, una settimana dopo, il sette dicembre, Willy Brandt cadde in ginocchio nel ghetto di Varsavia, e il gesto non piacque a tutti i tedeschi, da privato poteva fare quel che voleva, da Cancelliere con lui si inginocchiava tutta la Germania.
Ma da quel giorno il Muro cominciò ad avere le prime crepe e cadde 19 anni dopo. Angela Merkel andava al liceo. Primo ministro in Italia era Emilio Colombo. Da allora la Germania ha avuto quattro Cancellieri, quanti premier a Roma? Sono 28, ma qualcuno viene contato due volte. Tatort è arrivato a 1.115 puntate di 90 minuti, qualche burocrate ha contato quante vittime hanno fatto passare il tempo agli spettatori (dieci milioni di media), e quanti commissari e commissarie hanno dato la caccia ai colpevoli. Da precisare, che Derrick non c’entra, appartiene a un’altra serie, le repliche sono vietate in Germania, perché si scoprì che l’attore Horst Tappert, aveva indossato la divisa delle Waffen SS, come il Nobel Günter Grass. Ma questa è un’altra storia.

Mi sembra importante che in mezzo secolo Tatort non abbia cambiato la sigla, un uomo in fuga avvolto dalla rete di un’impronta digitale, e il leit-motiv. I tedeschi non sprecano i soldi. Non è la prima volta che ne parlo, i Tatort vengono prodotti dalle varie emittenti regionali, quasi ogni città ha i suoi protagonisti, e partecipano anche colleghi di Vienna, di Zurigo e di Lucerna.

Per l’anniversario, per la prima volta, si è avuto un Tatort in due puntate, la prima ambientata a Dortmund, nella Ruhr, domenica, e la seconda a Monaco, domenica prossima, con il titolo In der Familie, in famiglia, ed è questo che un po’ mi infastidisce. La famiglia è italiana, anzi siciliana, quella della mafia. Luca Modica ha aperto una pizzeria a Dortmund insieme con Juliane, la moglie tedesca, gli affari non vanno bene, e la mafia li costringe a spacciare cocaina, all’insaputa della figlia Sofia, 17 anni. Juliane denuncia la famiglia, Sofia fugge a Monaco, non ama la mafia, ma non perdona la madre. Diciamo un conflitto familiare e un rapporto bilaterale Germania-Italia. La prima puntata finisce male per la Polizei, la seconda non so come andrà a finire.

«Ma perché ancora e sempre la mafia?» la domanda non è mia, ma la condivido da palermitano in Prussia, l’ha fatta lo Spiegel. Perché sceneggiatori e regista non hanno dedicato il loro storico doppio Tatort, ai clan arabi che controllano la Ruhr e Berlino, o alla mafia cécena, o al terrorismo? La mafia italiana non lavora in pizzeria, ormai, ma ha i suoi uomini negli ambienti finanziari di Francoforte, e investe miliardi.

Sono passati 30 anni da quando il giudice Rosario Livatino venne assassinato (21 settembre 1990), da due killer partiti dalla Ruhr. Il sistema si chiamava fly and kill, i due lavoravano in pizzeria, partirono all’alba per la Sicilia, e alla sera erano di nuovo al lavoro. La mafia compì una strage in un ristorante di Duisburg, sempre nella Ruhr, sei morti a colpi di mitra il 15 agosto del 2007. «Ma a noi interessava più la famiglia, gli effetti della mafia nei rapporti tra madre padre e figlia», hanno replicato i responsabili di Tatort. Il risultato è una specie di opera lirica in cucina, cocaina e tagliatelle. I commissari spiano grazie al microfono nascosto in seno a Juliane, e ascoltano solo lacrime e sospiri, e commentano: Die Italiener. Forse per invidia.
Almeno gli interpreti sono per una volta italiani e parlano in dialetto calabrese, così perfetto che per capirlo ho dovuto leggere i sottotitoli in tedesco. E non manca una Ferrari giallo fiammante. In altre parole, delinquenti arabi o céceni, saranno più attuali e crudeli, ma gli spettatori vogliono anche storie umane. Il tema del padrino, tira sempre di più. Contro i luoghi comuni si combatte invano.