il Fatto Quotidiano, 30 novembre 2020
Cent’anni di Luciano Barca
Se non è tutta una vita, un archivio è almeno un’autobiografia. E tutta una vita non potrebbe esserlo comunque perché quella di Luciano Barca è una di quelle del secolo che fu forse breve, ma bruciò e fuse acciaio, speranze, gioie, dolori e crimini al fuoco della controversia, se è lecito citare qui Mario Luzi. Era nato quasi cent’anni fa esatti, Luciano Barca, da otto non c’è più e da qualche giorno il suo archivio, che lui stesso donò alla Fondazione Feltrinelli vent’anni fa, è completamente consultabile online da chiunque abbia una connessione, un computer e un po’ di curiosità: è stato digitalizzato grazie a un bando del Mibact e già al primo sguardo ci si è accorge che è una piccola miniera. Una chicca per tutte: il biglietto del febbraio 1977 con cui l’allora governatore di Banca d’Italia Paolo Baffi – erano i mesi difficili del crac dell’Ambrosiano e delle manovre di Sindona e Gelli – scrive all’allora deputato del Pci che se continua così “ci ritroveremo i ladri non solo in casa, ma in cassa”.
Giovane ufficiale di marina durante l’ultima guerra con la flottiglia X Mas, poi ammutinato contro il comandante del suo sommergibile che voleva arrendersi ai tedeschi dopo l’8 settembre, partigiano, giornalista, economista, dirigente del Pci lungo i decenni e tre segretari: Barca – sia detto en passant padre di Fabrizio, dirigente del Mef e poi ministro con Monti – non fu mai un trinariciuto custode dell’ortodossia, ma comunista sì nel senso della lealtà al partito e pure dell’aspirazione a un cambiamento che non può essere annacquato in un generico riformismo. Agire accorto, pensare estremo secondo l’espressione di Mario Tronti.
Un archivio, dicevamo, è anche un’autobiografia e così ci descrivono il Fondo Barca (che Fondazione Feltrinelli mette online assieme a quello, altrettanto prezioso, della federazione milanese del Pci) Vittore Armanni e Mariamargherita Scotti che su quell’archivio hanno lavorato per renderlo disponibile a tutti: “un’autobiografia per documenti” costruita in un dialogo continuo con quella ufficiale (Cronache dall’interno del vertice del PCI, Rubbettino, 2005), basti la sezione “diario” a confermarlo. La citazione la prendiamo da un articolo su Il Menabò di Etica ed Economia, l’associazione che Luciano Barca fondò nel 1990 e che oggi gli dedica un intero numero, pieno d’affetto, proprio nel centenario della nascita.
La vita è l’arte dell’incontro, si sa, e anche un archivio può esserlo. Non troppo casualmente abbiamo però scelto di incontrare tre documenti che ci raccontano il ruolo del dirigente politico Barca lungo i decenni. Il primo è una copia manoscritta, con tanto di correzioni, dell’articolo di Palmiro Togliatti in occasione della morte di Alcide De Gasperi: in quanto documento fisico è un inedito. Siamo nell’agosto 1954 e Barca è direttore dell’edizione torinese dell’Unità: in quel testo il leader comunista, che nessuno potrà mai definire un estimatore del capo democristiano, smorza i giudizi negativi (“l’oggettività fredda potrebbe sembrare irriverente”) e batte piuttosto su “quel che noi sentiamo di buono esserci nel suo passato e cioè l’accettazione della più ampia ed efficace unità di forze popolari per la salvezza e il bene di tutti”.
Citiamo queste righe perché, in quell’ircocervo che fu il comunismo italiano, l’esigenza di allearsi in qualche modo con le masse democristiane è il grande irrisolto, ivi compreso – e per di più già in assenza di masse – l’inserto satirico della vicenda noto come Pd. Della stagione in cui il dialogo tra Dc e Pci fu più fecondo Luciano Barca, a quell’epoca già in Direzione da tempo, fu uno degli indubbi protagonisti: per conto di Enrico Berlinguer guidò le trattative con Aldo Moro o col suo inviato Tullio Ancora dopo la svolta del “compromesso storico”, lanciato dal segretario comunista all’indomani del golpe Pinochet/Usa in Cile del 1973.
Questa fase è la più ricca di documenti, anche vista la centralità del ruolo di Barca nel momento in cui il Pci entrava nell’area di governo. Ci piace citare una nota “per Berlinguer” del 12 giugno 1974 in vista di un incontro del segretario con Moro: a parte un classico italiano degli ultimi decenni (c’era da attenuare gli effetti di una manovra restrittiva volta a riequilibrare i rapporti con l’estero) e gli eterni incompiuti (“un piano pluriennale di edilizia per gli asili nido”), è curiosa la proposta di imporre a tutti i ministeri e gli enti statali di rendere pubblico “ogni anno l’elenco di tutto il personale politico e burocratico con gli emolumenti complessivi che ognuno riceve, così da garantire un controllo pubblico sul livello degli stipendi di fatto”. Quella legge verrà approvata nel 2012 da un governo (quello di Mario Monti) in cui suo figlio Fabrizio era ministro, nato anche quell’esecutivo per fare una manovra recessiva che riequilibrasse i rapporti con l’estero.
Il terzo documento di questa breve storia è la “Nota per Berlinguer e Chiaromonte” del 22 dicembre 1978 intitolata “Stati Uniti e Sme”, cioè il sistema europeo di cambi semi-fissi che fu il padre dell’euro e in cui saremmo entrati dal 1° gennaio 1979. La nota ci svela un’altra caratteristica di Barca: la capacità di tessere rapporti, ovviamente anche in nome e per conto del partito. L’economista racconta il suo incontro con Siro De Falco, funzionario del Tesoro Usa e collaboratore dell’allora ministro Michael Blumenthal (alla Casa Bianca c’era Jimmy Carter): “È risultato dalla discussione: 1) che il governo Usa è fortemente contrario allo Sme; 2) che il governo Usa è fortemente critico verso la Germania e il Giappone ‘il cui surplus costituisce un problema altrettanto drammatico di quello dei Paesi petroliferi’; 3) che il governo Usa punta a un rilancio del Fmi e resta per ora contrario a un sistema generalizzato di cambi fissi (…)”. Non pare cambiato molto.
È appena il caso di ricordare che il Pci aveva votato contro lo Sme in Parlamento dieci giorni prima. Come risulta dai verbali consultabili all’Istituto Gramsci, durante la direzione del partito sul tema, Luciano Barca – a cui non mancavano gli argomenti tecnici – fu piuttosto sbrigativo sulle cautele della corrente “migliorista”, che preferiva l’astensione e si preoccupava che il Pci passasse per anti-europeo: “Europa o non Europa questa resta la mascheratura di una politica di deflazione e di recessione anti operaia”. Barca fu europeista, persino con qualche fascinazione federalista, però – cosa che ahinoi occorre oggi ricordare con forza – essere europeisti non può certo voler dire essere cretini o autolesionisti.