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 2020  novembre 30 Lunedì calendario

Diasorin e la plusvalenza di 4 miliardi per i Denegri

La farmaceutica è un affare non solo quando si posseggono buone aziende ma anche quando si vendono. Ne sa qualcosa la famiglia torinese Denegri, proprietaria della quotata Diasorin, che grazie al rialzo del prezzo borsistico causato dai successi dei test diagnostici per il Covid-19 prodotti dall’azienda sta oggi sta seduta su una plusvalenza potenziale di oltre 4 miliardi di euro. Il tutto anche se Diasorin, che a maggio e a inizio novembre era salita oltre i 200 euro, rispetto a quei livelli è ridiscesa di circa il 15% e dovrà fare i conti, in futuro, con le conseguenze che avrà sull’emergenza (e sui mercati finanziaria) la diffusione dei diversi vaccini annunciati.
Ma Gustavo Denegri – 83 anni, un imprenditore che in passato è stato anche amministratore delegato della Piaggio – e la sua famiglia sono anche investitori nel pharma con una logica da private equity. Come avvenne quando sette anni fa puntarono un chip di 16 milioni per rilevare il 30% di Corin Orthopaedics, azienda inglese che realizza sistemi protesici per anca e ginocchio e due anni fa è stata rilevata dal fondo Permira, consentendo alla famiglia torinese di incassare 66 milioni. Ora le nuove puntate nel settore sono rivelate dal bilancio 2019 di Investimenti e Partecipazioni (Ip), subholding che fa capo alla cassaforte Finde e che controlla il 41% del capitale ordinario di Diasorin, quota che vale oltre il 60% dei diritti di voto.
Vendite di quote
Ip nel 2011 aveva rilevato l’1,6% dell’israeliana Orthospace, specializzati negli impianti per trattare le lesioni della cuffia dei rotatori della spalla. Qualche mese fa i Denegri hanno venduto, incassando 830 mila dollari, con una plusvalenza di 510 mila dollari. La stessa logica è stata seguita qualche anno più tardi quando Ip ha messo una fiche da 2,5 milioni di dollari per il 2% di Dova, società quotata al Nasdaq dal 2017, che sviluppa un farmaco per il trattamento di una patologia del fegato. E poco tempo fa i Denegri hanno ceduto la quota, realizzando una plusvalenza di 4,7 milioni di dollari. Piccole cifre, ovviamente, rispetto a quelle che i Denegri realizzerebbero se mai decidessero di cedere il loro gioiello Diasorin.
La quota nella società diagnostica vercellese, infatti, è rimasta iscritta nel bilancio di Ip a 309 milioni, pari a poco più di 12,5 euro per azione: già a fine anno la partecipazione valeva in Borsa 2,8 miliardi, mentre ora con la capitalizzazione di 9,6 miliardi raggiunta dal titolo la plusvalenza inespressa sfiora i 4 miliardi. E questo può forse spiegare perché qualche settimana fa la famiglia ha deciso di fare uno piccolo strappo rispetto alla prudenza mostrata lo scorso anno, quando non aveva distribuito un euro di dividendo pur a fronte di oltre 70 milioni di utile. Questa volta, invece, approvando il bilancio 2019 chiuso con un profitto di poco inferiore a quello dell’esercizio precedente, i soci hanno sì deciso di destinare a nuovo tutti i profitti, attingendo però alle riserve per distribuire una cedola di 3 milioni.

Una crescita anno su anno
Il combinato disposto delle decisioni assembleari ha comunque fatto sì che il patrimonio netto della holding sia salito anno su anno da 456 a 512 milioni, mentre gli attivi si sono attestati a oltre 600 milioni. Diasorin a parte, la holding è attiva anche nell’immobiliare con la capogruppo Aurelia in carico a 34 milioni e in business diversificati mediante l’italiana Finde Investimenti e l’inglese Finde Capital, finanziate entrambe per 73 milioni, e dove papà Gustavo ha dato spazio ai figli Alessandro e Michele. La prima, partecipata col 49% da Alessandro, ha puntato per esempio sulla magnifica Villa Triboli, a pochi chilometri da Firenze, mentre la seconda, controllata da Michele con il 51%, ha investito fra l’altro nello spazio torinese Combo, destinato a diventare un “ostello delle arti”, e più recentemente in Garycom, startup torinese che sviluppa app con finalità educative, nonché in Wonderful Italy, piattaforma online che affitta case per le vacanze.
Fra tanti investimenti della Finde, che nove anni fa a Torino ha comprato lo storico ristorante Del Cambio dove Cavour pranzava ogni giorno, da segnalare anche un disinvestimento. La società è uscita infatti dal capitale della Roberto Demeglio, controllata dall’omonimo orefice, e anch’essa con sede a Torino, 25 dipendenti e un laboratorio a Valenza. La quota dei proprietari di Diasorin era del 30%: l’uscita dal libro soci è avvenuta non convertendo in azioni le obbligazioni emesse dall’oreficeria nel 2015 e oggi il primo azionista è col 42% la Galileo, società dello stesso Demeglio.