Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  novembre 30 Lunedì calendario

La vita in falsetto dei fratelli Bee Gees

Quando si citano i Bee Gees si ricordanosubito tre cose: canzoni pop romantiche e con grandi melodie, la disco music al suo massimo livello di popolarità e le voci in falsetto che ne hanno caratterizzato alcuni dei più grandi successi. Ma nella storia dei tre fratelli Gibb, Barry, Robin e Maurice, iniziata all’alba degli anni 60, c’è molto di più, come ci fa scoprire il documentario How can you mend a broken heart, diretto da Frank Marshall e prodotto da Nigel Sinclair che arriverà il 14 dicembre sulle piattaforme digitali.
Una storia segnata da clamorosi successi che vale la pena ricordare: 230 milioni di copie vendute dei loro album, cifra che li pone al quinto posto tra gli artisti di maggiore successo mondiale, un numero indefinito di singoli arrivati nelle top ten internazionali, con il record di sei singoli consecutivi al numero uno nelle classifiche americane, oltre ad aver eguagliato i Beatles nell’aver avuto cinque canzoni contemporaneamente nella top ten statunitense. E poi la colonna sonora del film La febbre del sabato sera che da sola ha venduto oltre 40 milioni di copie e che ha trasformato la disco music in una rivoluzione planetaria, una lunghissima lista di premi e il personale record di Barry Gibb, che ha scritto 16 “numeri uno” in America: solo Lennon e McCartney hanno fatto meglio. Ma c’è anche la storia di tre ragazzini che partono giovanissimi da Brisbane e conquistano il mondo, le tragedie, le separazioni, le crisi, la droga e l’alcool, e negli anni più recenti la scomparsa di Robin e Maurice, che hanno lasciato Barry Gibb nel ruolo di “last man standing” del trio. Ed è proprio l’incontro tra Barry Gibb e Frank Marshall, produttore, fondatore della Amblin con Steven Spielberg, e regista, che è alla base di questo bellissimo documentario, appassionante, ricco di musica e di emozioni: «Sì, è stato l’incontro con Barry a farmi scattare la voglia di fare questo film», dice Marshall, «mi sono reso conto dopo averlo incontrato di quanto la musica dei Bee Gees era stata presente nella mia vita e in quella di tantissima gente. E mi intrigava molto la sua storia, la morte dei fratelli, le tensioni e l’amore tra di loro. Sulla mia strada è arrivato poi Nigel, con una grande esperienza nei documentari musicali. Da subito ho pensato che non volevo realizzare un documentario “moderno”, con il solito stile MTV, ma qualcosa che avesse una forza narrativa, emotiva, che potesse tenere in primo piano il lato personale, la complicata dinamica familiare, e anche filmati e interviste che non sono mai state viste prima».
How can you mend a broken heart è molto ricco di immagini, sia quelle musicali dei concerti e in studio, sia quelle bellissime e inedite, degli archivi personali. «Oggi è molto più facile trovare i materiali su cui lavorare», dice il produttore Nigel Sinclair, «abbiamo degli strumenti digitali che hanno trasformato il processo, quando ho lavorato a No direction home, il documentario di Scorsese su Dylan, abbiamo fatto tutto a mano. Ma la cosa fondamentale è stata avere avuto accesso al materiale familiare, casalingo».
Il risultato è infatti bellissimo: in alcuni momenti sembra di guardare dalla finestra di casa Gibb, in altri si ha accesso a momenti davvero sentimentali, unici, che fanno il paio con performance dal vivo e in tv che esaltano le doti vocali del trio, la forza delle loro canzoni, la popolarità di brani che tutti conosciamo a memoria. Ne esce un quadro dolceamaro, tra le parole di Barry, registrate oggi, e quelle degli altri due fratelli, in interviste altrettanto intense, l’immagine di una famiglia che cresce nella musica, con la musica, tra gioia e tragedie, amori, tensioni, successi e cambi di rotta, fallimenti e rinascite, «una storia di tre ragazzi normali che hanno fatto fortuna con il loro talento. Una perfetta favola morale», dice Marshall, sostenuta anche dalla partecipazione di tanti testimoni e fan a volte insospettabili, tra i quali Eric Clapton, Mark Ronson, Noel Gallagher, Nick Jonas, Chris Martin e Justin Timberlake.
E poi c’è il titolo, preso da una delle loro più belle canzoni, del 1971, perfetto per racchiudere una storia come questa: «È vero», conclude Marshall, «è una canzone che non ha solo una storia, che tutti conoscono, ma è parte del grande tema del film, riflette quello che è successo. Nel 1969 la band si sciolse, cantavano insieme da quando avevano 5 anni, era normale che accadesse. Ma nel 1971 tornarono insieme con questa canzone, che parla di come riparare un cuore spezzato: parlavano a noi, ma raccontavano la loro storia».