la Repubblica, 30 novembre 2020
Il viziaccio delle task-force
Un labile e sfuggente confine divide in Italia la realtà dalla sua rappresentazione, la messa in scena dalla finzione e quest’ultima dal cinismo. Così, dinanzi alla scelta su come spendere i miliardoni del Recovery, il presidente Conte ha pensato a un organismo di 300 (trecento) individui, neanche a dirlo esperti.
Già il nome che la comunicazione di Palazzo Chigi ha assegnato a tale immaginaria e affollatissima entità suscita il più sperimentato scetticismo, pencolante verso la diffidenza. Trecento componenti sono in effetti troppi, ma siccome oltre che nei dettagli è nell’assetto gerarchico e gestionale che si scorge la codina arricciata del demonio, questi trecento dovrebbero essere coordinati – altro verbo sospetto – da un cosiddetto “comitato esecutivo-struttura di missione”, addirittura, composto da sei tecnici, al solito indipendenti.
Con tanto di sollecitazioni emotive, l’accoppiata di “missione” e “task-force” sottolinea un viziaccio nazionale; ma al tempo stesso lascia intravedere una furbizia che nasconde a sua volta una disperata incapacità di scegliere, ciò su cui purtroppo è difficile, tanto più in questi tempi, fare dell’ironia.
Ma non ce n’è bisogno, essendo piuttosto freschi i precedenti di ordinaria e malaugurata ricorrenza. Per cui 12 sono i membri del Comitato Tecnico Scientifico del ministro della Salute Speranza e 39 quelli dell’Unità Operativa del commissario anti-Covid Arcuri. Ad aprile la ministra Pisano chiamò all’Innovazione 76 persone, alcune delle quali impiegandole a studiare il tracciamento telefonico dei positivi; di qui la prima sovrapposizione con il gruppo di Arcuri che nel frattempo si era messo al lavoro sulla app Immuni – che dio la perdoni.
Venne quindi costituito, ma quasi negli stessi giorni e non proprio agevolmente, il comitato, anzi la Task- force guidata da Colao: 17 componenti. Né si intende qui discuterne l’utilità. Sulla faccenda delle Commissioni esiste d’altra parte un’ampia, autorevole e mordace letteratura; che va da Benedetto Croce, secondo cui le uniche commissioni funzionanti sono quelle «i cui componenti sono di numero pari inferiore a 1», e arriva a Romano Prodi, che proprio in quel frangente osservò: «Dopo tanti anni di governo ho imparato che un cammello è un cavallo disegnato da una commissione».
Ci si limita dunque a ricordare che, una volta varato l’organismo la cui testa era collocata a Londra, si scoprì che c’erano pochissime donne, per cui i 17 furono felicemente integrati con cinque presenze femminili. Per dovere di completezza e inesorabile buffoneria si accenna al fatto che l’andazzo consultorio generò, sempre tra aprile e maggio, niente meno che una fake-commission: guidata da Draghi, con il professor Cassese e il capo di gabinetto dell’Economia Carbone. Ma rientrando nell’area delle cose vere, ancorché desolanti e labirintiche, il punto delicato è che il proliferare di queste strutture dai compiti indeterminati ha le sue spiegazioni e utilità.Perché la task-force nasconde il vuoto di idee, surroga il coraggio, copre l’obiettiva debolezza del potere, fa finta di rivolgersi alla società civile e scuda la classe di governo da eventuali grane. Ma soprattutto, dato il sovraccarico di progetti germogliati dalle annacquatissime commissioni, consente a chi le nomina di scegliere ciò che per lui è più conveniente.
Accadde quindi che mentre la ministra Azzolina si rivolgeva a un certo numero di esperti – c’è chi dice 123 – per impostare la maturità, il premier Conte, cascasse il mondo, convocò gli Stati Generali per ridisegnare l’Italia. Qui si potrebbe approfondire un’altra frequente e collegata retorica nazionale, per lo più a sfondo megalomane, quella del Piano: Piano di Rinascita Nazionale, appunto, Piano Marshall, MasterPlan, SalvaItalia, SbloccaItalia, CorrItalia, CrescItalia, Grandi Opere, eccetera. Ci si limita però a ricordare che nello splendore semi estivo del casino dell’Algardi, lieto e fiero della prova offerta dal governo contro la pandemia, il premier promise di piantare un milione di alberi e si collegò con la cantante Elisa, cui chiese anche, visto che c’era, di intonare un brano, “La Luce”. Lei eseguì: “Adesso la verità è l’unica cosa che conta/ Dimmi se farai qualcosa”.