Avvenire, 29 novembre 2020
Il vescovo Maniago spiega il nuovo Messale
Il giorno atteso è arrivato. Da oggi il nuovo Messale Romano si apre sugli altari delle parrocchie della Penisola. Almeno così ha scelto la maggioranza delle Conferenze episcopali regionali o dei singoli vescovi. Eppure questa prima Domenica d’Avvento, che inaugura l’Anno liturgico, sarà ricordata non solo per il rinnovato “libro dell’Eucaristia” che comincia a essere utilizzato nella Chiesa italiana ma anche per l’avvio del cammino verso il Natale segnato dalla pandemia con le sue restrizioni fisiche, le misure anti- Covid e anche le paure. «È provvidenziale questa concomitanza», sostiene il vescovo di Castellaneta, Claudio Maniago, che come presidente della Commissione episcopale Cei per la liturgia ha guidato la fase conclusiva e più complessa del lavoro che ha portato alla pubblicazione della terza edizione italiana del Messale. Non un esordio in sordina, come qualcuno potrebbe sostenere. «È vero che il libro liturgico viene adottato in un momento nel quale le celebrazioni vedono ridurre il numero dei fedeli e la partecipazione è condizionata dalle limitazioni agli spostamenti, insieme a una diffusa preoccupazione. Tuttavia il fatto che la Chiesa italiana scelga di aprire un nuovo capitolo della sua vita ecclesiale con il Messale all’inizio dell’Anno liturgico è segno di speranza. E credo che sia anche consolatorio ». Perché il volume curato dalla Cei e illustrato da Mimmo Paladino non è il «libro del prete, ma della comunità», tiene a far sapere Maniago. Ed è frutto di diciotto anni di impegno: tanti ne sono serviti per arrivare alla traduzione italiana della terza edizione tipica latina varata dalla Santa Sede nel 2002 per aggiornare e arricchire il Messale Romano di Paolo VI, emblema della riforma liturgica scaturita dal Concilio.
Eccellenza, quale il significato di questa “rivoluzione gentile” a Messa?
«Mi affido alle parole impiegate dai vescovi nel messaggio che ha accompagnato l’uscita del Messale: esso è un dono prezioso per riscoprire la bellezza e la fecondità della celebrazione eucaristica. Come ha detto il Papa nell’accogliere la prima copia che gli abbiamo consegnato a fine agosto, rivedere un libro può essere anche relativamente semplice; ben più impegnativo è cambiare la mentalità e quindi far maturare una rinnovata consapevolezza intorno all’Eucaristia. Per questo il nuovo Messale rappresenta un’occasione da non sprecare».
Per tornare a riassaporare a pieno il gusto della liturgia?
«C’è attesa per il Messale: un’attesa che non è solo curiosità ma desiderio di contemplare sempre di più il mistero celebrato. Ecco perché, a partire dal nuovo libro liturgico, le parrocchie e le diocesi sono invitate a proporre itinerari di formazione. Come si può vivere bene la celebrazione se non si conoscono gesti e significati? È un diritto di ogni battezzato sapere e non in maniera superficiale. Una maggiore consapevolezza consente una partecipazione più viva e attiva».
Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, scrive in apertura del volume che il nuovo Messale è più rispondente al linguaggio e alle situazioni pastorali di oggi.
«Nella traduzione, accanto alla fedeltà al testo latino, si è cercato uno stile che fosse consono alla lingua contemporanea, pur rispettando la dignità del linguaggio liturgico che, essendo destinato a momenti di alto valore, ha una sua peculiare dignità. Nel libro abbiamo tenuto conto anche di nuove sensibilità che sono emerse negli anni e che sono state declinate ad esempio in un linguaggio più inclusivo: penso al Confesso dove è stata adottata l’espressione “fratelli e sorelle”».
Perché ci sono voluti quasi due decenni per arrivare alla pubblicazione?
«Il Messale in italiano ha una sua particolare rilevanza: fa da esempio per le traduzioni in altre lingue nazionali ed è quello usato dal Papa. Tutto ciò ha richiesto specifiche accortezze. E poi il testo è stato al centro di un percorso sinodale che ha coinvolto l’intero episcopato italiano ma anche vari organismi della Santa Sede».
Numerose sono le revisioni. Occorrerà farci l’orecchio e impararle.
«La nuova edizione del Messale chiederà a tutti più attenzione: e questo male non fa. I sacerdoti si troveranno in più occasioni testi con una traduzione nuova. Come le Preghiere eucaristiche: alcune sono state riviste in modo significativo. Per le parti dell’assemblea è stato adottato il criterio di ridurre al minimo le variazioni per non disorientare. Tuttavia alcuni cambiamenti toccano il Padre Nostro o il Gloria. Nella preghiera insegnata da Gesù abbiamo voluto modificare l’espressione “Non ci indurre in tentazione” che creava disagio. Un disagio espresso anche dal Papa di fronte a parole che potevano lasciar trasparire l’immagine di un Dio non misericordioso. Adesso dobbiamo affrontare il piccolo sacrificio di usare la nuova versione ma la preghiera risulta più precisa e quindi più bella».
Non è stato messo mano al «Versato per voi e per tutti» che traduce la locuzione latina «Pro multis». Perché?
«La scelta scaturisce da una decisione dell’episcopato confermata anche da una votazione. “Per tutti” non tradisce l’originale ed è un’espressione profondamente vera che racchiude il messaggio di salvezza di Cristo. Un eventuale cambiamento poteva essere faticoso da comprendere».
Il nuovo Messale è comunque ricco di novità.
«Anzitutto perché la terza edizione tipica latina contiene molti più testi o nuove versioni di preghiere. E vorrei evidenziare che ci sono ben sei nuovi prefazi di cui quattro di matrice italiana e quindi esclusivi per il nostro Messale. Infatti, nel momento in cui siamo andati a tradurre l’originale latino, abbiamo avvertito la necessità di proporre alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti i quattro nuovi prefazi, due per i pastori e due per i dottori della Chiesa, che sono stati composti dalla Chiesa italiana. E il dicastero vaticano li ha accolti».
L’introduzione firmata dalla Cei avverte che non va aggiunto o tolto nulla a quanto è scritto nel libro. Basta con le Messe fai-da-te?
«Due sono gli eccessi. Uno è quello della creatività che, sebbene nasca dallo zelo di coinvolgere le assemblee, inficia un testo che dice come la Chiesa sia una quando celebra. E poi c’è il rubricismo asettico, ossia il rispetto freddo delle norme, che, non tenendo conto di come un’assemblea viva questo o quel tempo, questo o quel luogo, non anima la liturgia con tutte le possibilità che il Messale prevede».