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 2020  novembre 29 Domenica calendario

QQAN10 Cercare il genoma dell’ingiustizia

QQAN10

Un acuto aforisma di Piergiorgio Bellocchio parafrasa la quarta delle beatitudini nel Discorso della montagna di Gesù, nella forma: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno giustiziati». In Matteo 5,6, non è «giustiziati», ma «saziati». Della giustizia si parla anche nell’ottava beatitudine: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». Stando al gioco, si potrebbe parafrasare: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché arriveranno prima nel regno dei cieli», a causa degli abusi nel nome della giustizia.
Lasciando da parte secoli di esegesi neotestamentaria, le due beatitudini sembrano intuire le scoperte della psicologia evoluzionistica e neurocognitiva, per cui la specie umana, ma anche altri primati, porta nel genoma un senso innato dell’ingiustizia, ovvero gli individui provano il bisogno fondamentale di non subire condizioni percepite come discriminanti e dannose. Dato che questo bisogno è prevalentemente mosso da istanze irrazionali e la selezione naturale ci ha dotati di decine di euristiche e pregiudizi in merito, può essere manipolato e causare persecuzioni nel nome della giustizia. L’evoluzione del metodo liberale, economico e politico, e la diffusione della cultura tecnico-scientifica ci hanno resi migliori, meno violenti intanto, e consentito che si riducessero anche gli abusi di potere applicando la logica dello stato di diritto.
Nel libro di Manconi e Graziani l’aforisma di Bellocchio viene citato più di una volta, ed entrambe le «beatitudini» sono oggetto di discussione. L’ossessione patologica nell’inseguimento di un’idea intuitiva di giustizia e l’uso della legge contro le libertà civili sono efficacemente analizzate dagli autori attraverso vicende nazionali ben note. Così come lo stallo della cultura garantista in un paese spazzato dal populismo, politico e penale, e dal giustizialismo morale, e dove non prevalgono valori ben testati come quelli illuministi, ma insane o rousseauiane idee illiberali di libertà.
Un tornante decisivo nella storia italiana è stato il fenomeno Mani Pulite nei primi anni Novanta, che, come in una soluzione sovrasatura, improvvisamente cristallizzava in precipitato un soluto in crescente eccesso. Le diverse forme di familismo amorale, inclusa la corruzione, che inquinavano in lungo e in largo il paese erano scoperchiate, ma l’accanimento penale ha trascinato nel fango dell’illusione giustizialista anche imprenditori e politici che non avevano commesso reati, ma furono solo sospettati. Da allora la presunzione di innocenza in Italia si può vedere solo nei film di argomento legale prodotti in UK o USA. Prevalse l’idea che il ritardo morale e civile del paese potesse essere curato con le manette e il carcere, e che il luogo privilegiato per rieducare all’etica pubblica fosse il tribunale, aiutato dai linciaggi mediatici.
Nasceva una fazione giornalistica di successo, guidata da un allievo di Montanelli, Marco Travaglio, al quale il libro dedica ben due capitoli, dove è genialmente paragonato al personaggio di Javert nei Miserabili di Hugo. Il paragone regge per i lati peggiori e non per l’integrità che porterà il poliziotto a suicidarsi quando si accorge, lui che aveva sempre identificato legge e morale, che se avesse agito contro Valjean avrebbe agito immoralmente.
Manconi e Graziosi discutono il fenomeno interessante e inquietante del «populismo penale», concetto definito negli anni Novanta nel mondo anglosassone e che si riferisce alla manipolazione da parte di partiti e movimenti politici, per fini elettorali, di una falsa percezione nelle persone che vi sia una elevata minaccia alla loro sicurezza. Quando non è vero. Alcuni partiti, in Italia Lega e M5S, ignorando o facendo finta che non esistano prove «controllate» del fatto che i crimini sono significativamente diminuiti nei paesi occidentali (inclusa l’Italia) e che la prigione non è un deterrente contro il crimine, o che le immigrazioni non sono un’emergenza, insistono nel lisciare il pelo ai peggiori demoni della natura umana.
C’è ancora spazio per i «migliori angeli» (Lincoln)? I capitoli sul garantismo tracciano un quadro lucido ma anche desolante del panorama etico-politico del Paese. Nell’ambito della lotta ai danni causati alle persone dalle tossicodipendenze, dallo sfruttamento della prostituzione, dagli abusi contro i malati terminali ai quali non è riconosciuto il diritto fondamentale di ricorrere all’eutanasia, alle condizioni disumane del regime carcerario, etc. non si intravvedono per il momento margini di progresso.
Perché restiamo un paese cognitivamente, moralmente e legalmente arretrato, rispetto per esempio al mondo nordeuropeo? Gli autori scrivono che l’Italia manca «di una vera e propria tradizione culturale e politica in merito e di una radicata attitudine a tutelare i diritti individuali della persona». E vedono la causa nell’influenza esercitata nel secolo scorso dai partiti di massa con le loro idee paternalistiche di «garanzie sociali e interessi collettivi». Vero. Ma queste sono le cause prossime. Le cause remote sono state forse più decisive. In particolare, la refrattarietà verso l’etica protestante della responsabilità – ha vinto quella tribale delle intenzioni (direbbe Weber) – e, in ultima istanza. una inadeguata valorizzazione educativa delle capacità cognitive razionali basata sull’uso dei metodi della scienza. Che ha prodotto l’indisponibilità all’uso di metodi empirici, emotivamente neutrali, sfortunatamente soprattutto a livello di classe dirigente e di cultura politica.