Il Sole 24 Ore, 29 novembre 2020
Così Churchill divenne il capo
Giovedì 20 dicembre 1945: il direttore del «Sunday Dispatch» Charles Eade era a pranzo con Winston Churchill e sua moglie Clementine nella loro nuova casa di Knightsbridge a Londra. Eade stava redigendo i discorsi di guerra dell’ex primo ministro per pubblicarli e avrebbero dovuto discutere dell’ultimo volume in lavorazione.
Prima di pranzo, Eade aveva atteso in quella che in seguito descrisse come «una bellissima stanza con scaffali incassati nella parete pieni di libri francesi e inglesi con magnifiche rilegature», che Churchill chiamava la sua “biblioteca snob”. Le pareti erano adorne di dipinti del grande antenato di Churchill, il I duca di Marlborough, e di un ritratto di Churchill stesso dipinto da Sir John Lavery durante la prima guerra mondiale.
Il pranzo rispecchiava il razionamento britannico del dopoguerra: un piatto di uova, tacchino freddo e insalata, e per dessert un pudding e caffè. Bevvero una bottiglia di bordeaux appena inviata dal sindaco dell’omonima città francese. Churchill spiegò al fidato giornalista, che durante la guerra aveva pranzato con lui molte volte, di essersi «ubriacato parecchio» durante una cena all’ambasciata francese la sera prima, aggiungendo con un risolino «più del solito».
Dopo diversi bicchieri di brandy e un sigaro, di cui Eade conservò la fascetta per ricordo, Churchill cominciò a discutere del modo migliore di pubblicare i suoi discorsi del periodo bellico, pronunciati quando la Camera dei comuni era in sessione segreta durante la guerra. Nel corso del loro colloquio di un’ora mostrò a Eade i sessantotto volumi di verbali, messaggi e memorie inviati ai vari ministri del consiglio e ai capi di Stato maggiore tra il 1940 e il 1945, consentendogli di aprirli a caso.
Naturalmente Eade si dichiarò sorpreso per la grande massa di lavoro che Churchill era riuscito a svolgere come primo ministro. «Mi spiegò di essere in grado di giungere subito al cuore di quegli affari, perché tutta la sua vita era stata un addestramento per l’alta carica che aveva rivestito durante la guerra». Era un sentimento che Churchill aveva già espresso due anni prima, nell’agosto 1943, al primo ministro canadese William Mackenzie King durante la conferenza del Québec. Quando King gli disse che nessun altro avrebbe potuto salvare l’impero britannico nel 1940, lui rispose che «era preparato in modo davvero eccezionale, avendo vissuto la guerra precedente e avendo avuto una grande esperienza in ambito governativo». King concordò. «Sì, sembra quasi confermare la vecchia idea presbiteriana della predestinazione o preordinazione; del suo essere l’uomo prescelto a questo scopo». Anche il politico conservatore Lord Hailsham, che era stato un ministro di secondo piano nel governo bellico di Churchill, ribadì l’idea quando affermò: «L’unico caso in cui vedo la mano di Dio nella storia contemporanea è l’arrivo di Churchill al premierato in quel preciso momento nel 1940».
Churchill formulò le sue osservazioni a King e Eade in modo assai più poetico tre anni dopo, nelle ultime righe del libro L’addensarsi della tempesta, primo volume delle sue memorie di guerra. Ricordando la serata di venerdì 10 maggio 1940, quando era diventato primo ministro poche ore dopo il Blitzkrieg di Adolf Hitler sull’Occidente, scrisse: «Mi pareva di procedere di pari passo con il destino, come se tutta la mia vita precedente fosse stata soltanto una preparazione a quest’ora e a questo cimento (…). Era impossibile rimproverarmi, sia di aver voluto la guerra, sia di aver mancato a provvedere a una sufficiente preparazione bellica del Paese. Ero convinto di conoscere a fondo la situazione, ed ero certo che non mi sarei rivelato inferiore al mio compito».
Credeva nel proprio destino almeno da quando, a sedici anni, aveva detto a un amico che avrebbe salvato la Gran Bretagna da un’invasione straniera. La sua perenne ammirazione per Napoleone e per il proprio antenato John Churchill, I duca di Marlborough, influenzò la sua convinzione di essere anch’egli un uomo del destino. La sua nascita aristocratica e i suoi due cognomi famosi, Spencer e Churchill, gli davano una straordinaria fiducia in se stesso, grazie alla quale non si sentiva mai personalmente ferito dalle critiche. Nelle prese di posizione coraggiose e spesso solitarie che avrebbe assunto contro la duplice minaccia totalitaria di fascismo e comunismo, gli importava assai più la buona opinione dei suoi commilitoni caduti nella Grande guerra di quanto dicevano i suoi colleghi, vivi, dalle panche della Camera dei comuni.
Il ricordo dei suoi amici morti in guerra a causa di incidenti (come Lawrence d’Arabia) o dell’alcolismo (come F.E. Smith) molto spesso induceva Churchill alle lacrime, ma lo stesso accadeva con molte altre cose. Non di rado Churchill si lasciava dominare da passioni ed emozioni, e non gli importò mai che lo vedessero piangere in pubblico, nemmeno da primo ministro in un’epoca in cui le labbra tremanti non erano molto apprezzate. Questo era solo uno dei tanti fenomeni che facevano di lui una persona molto insolita.
Questo libro esplora il modo in cui la vita di Churchill fino al 1940, quando divenne primo ministro, sia stata una straordinaria preparazione al ruolo di leader nella seconda guerra mondiale. E lo fa esaminando le innumerevoli lezioni imparate nei sessantacinque anni precedenti alla sua nomina a primo ministro, anni di errori e tragedie, ma anche di duro lavoro e autorevolezza di leader guadagnata sul campo. Mostra poi i modi in cui mise a frutto tali lezioni durante l’ora più dura per la civiltà occidentale. Perché, anche se nel maggio 1940 Winston Churchill andava davvero di pari passo con il destino, era un destino che lui stesso aveva forgiato consapevolmente per tutta la vita.