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 2020  novembre 29 Domenica calendario

La legge sul divorzio in Italia, 50 anni fa

«Gli italiani senza divorzio sono tutti ergastolani, perché condannati a vita». «Mio padre è un separato e io non posso avere il suo cognome». «Sono una cattolica e credo fermamente nei valori umani e nella morale, ma credo nel diritto di libera scelta del proprio amore». Sono le voci dell’Italia del divorzio, oltre 36 mila tra pensionati, emigrati, professionisti, impiegati, artigiani, casalinghe e figli di nessuno che, nell’estate del 1965, mandarono le loro “cartoline dell’amore” al deputato socialista Loris Fortuna, promotore di un progetto di legge sullo scioglimento del matrimonio. Insieme a Spagna e Irlanda, l’Italia era uno dei pochi paesi europei dove ancora vigeva l’indissolubilità del legame nuziale. E milioni di “fuorilegge del matrimonio” – tra separati e figli naturali – erano costretti a vivere i nuovi affetti fuori della legalità. È l’Italia raccontata da Pietro Germi in Divorzio all’italiana, il delitto d’onore riconosce e legittima la violenza sulle donne, e l’adulterio è un reato punibile solo per le mogli, non per i mariti.
La svolta avviene il primo dicembre del 1970, esattamente cinquant’anni fa, quando Fortuna riesce a far approvare la sua legge sul divorzio, con le correzioni apportate dal deputato liberale Antonio Baslini: 319 i voti favorevoli (socialisti, comunisti, repubblicani, radicali, socialdemocratici, liberali) e 286 i contrari (democristiani e missini). La seduta era stata la più lunga nella storia del Parlamento repubblicano, ancor più ribollente il dibattito che per cinque anni aveva attraversato la società italiana, tra l’avanguardia incarnata dai socialisti e dalla Lega per il divorzio di Marco Pannella, l’iniziale resistenza del Pci poi schierato a favore della legge, e la decisa contrarietà dello scudocrociato, armato dalla Chiesa cattolica contro lo scioglimento del matrimonio.
Perché il processo arrivi a compimento bisogna aspettare il referendum del 12 maggio 1974, voluto dal Vaticano e simboleggiato da un agguerrito Amintore Fanfani, alfiere del “Sì” all’abrogazione. L’esito fu sorprendente: il “No” espresso a larghissima maggioranza – il 59 per cento dei votanti – segnò la nascita di un’altra Italia, quella dei diritti e delle riforme.
Nell’arco d’un decennio sarebbero arrivate la riforma del codice famigliare, la legalizzazione dell’aborto, la rivoluzione di Basaglia. Cominciava il processo di laicizzazione della società italiana, che avrebbe segnato la separazione tra fede e politica, tra leggi civili e leggi religiose.
«Il divorzio rappresentò il crollo di un muro. Dopo la caduta di quella barriera, la modernizzazione dell’Italia non si sarebbe più fermata». All’epoca della battaglia per la legge, Emma Bonino non era ancora approdata al partito radicale, ma conosce la felicità della politica alla metà degli anni Settanta, quando scopre la militanza combattendo contro la piaga dell’aborto clandestino. «Per la prima volta l’amore e la sessualità conquistavano le piazze, divenendo tema del discorso pubblico. Pannella e compagni avevano avuto il merito di allargare i confini della politica oltre la fabbrica e la chiesa, includendovi anche la cucina e la camera da letto». Il divorzio fu importante perché «per la prima volta veniva sancito il diritto delle persone di scegliere: sulla propria vita, sui propri sentimenti, sulle relazioni affettive. Scegliere può essere doloroso, ma è un diritto irrinunciabile». La leader radicale ricorda l’esperienza condivisa con le donne che accompagnava ad abortire in una clinica di Firenze. «Il viaggio in treno era il momento delle confessioni. E fu allora che compresi cosa avesse significato il divorzio nel loro vissuto. Per la prima volta sentivo parlare della sessualità in un modo per me sorprendente. Io ero una piemontese riservata, completamente blindata nei miei sentimenti privati».
Il referendum sul divorzio introdusse un’importante novità anche nell’assetto politico. Della rottura dell’unità politica dei cattolici ci parla Raniero La Valle, animatore dei cattolici dissidenti che dissero no all’abrogazione. Dal versante della sinistra comunista arriva la testimonianza di Luciana Castellina, che fin dalla metà degli anni Sessanta aveva partecipato al dibattito sulla legge destinata a segnare l’inizio della rivoluzione italiana.