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 2020  novembre 28 Sabato calendario

L’ultima intervista a John Lennon

Perché sei diventato un casalingo?
Lennon: «È stato un modo per curare me stesso».
Ono: «Io chiedevo: "Che cos’è la cosa più importante nella nostra vita?"».
Lennon: «È stato più importante affrontare noi stessi e affrontare la realtà piuttosto che continuare una vita nello show business del rock ’n’roll, con tutti gli alti e bassi determinati dai tuoi spettacoli oppure dalle opinioni del pubblico. Ma c’era anche dell’altro. Facciamo l’esempio di Picasso. Picasso ha continuato a ripetersi fino alla tomba.
Non voglio togliere nulla al suo grande talento, ma negli ultimi quarant’anni non ha fatto che ripetersi. Non è andato da nessuna parte. Come lo vogliamo definire?
Dormire sugli allori. Vedi, intorno ai trentacinque anni mi sono trovato in una situazione in cui, per varie ragioni, mi ero sempre considerato un artista, un musicista, un poeta o come lo vuoi chiamare tu, e il cosiddetto tormento dell’artista veniva sempre bilanciato dalla libertà di cui l’artista godeva. L’idea di essere un musicista rock ’n’roll in qualche modo corrispondeva al mio talento e alla mia mentalità, e la libertà era una cosa davvero bellissima.
Dopodiché però ho scoperto che non ero libero. Mi ero fatto incastrare. Non si trattava solo del contratto, ma il contratto era la prova fisica del fatto che ero in prigione.
Allora, sarei anche potuto passare a un lavoro d’ufficio, dalle nove alle cinque, per andare avanti come stavo andando avanti. Il rock ’n’roll non era più divertente».
Ono: «Il rischio è diventare lo stereotipo di te stesso.
Potevamo arrivarci anche noi. Ma era una cosa che proprio non volevamo fare. È quel che io disprezzo più di tutto, nel mondo dell’arte. Ti viene un’ideuzza tipo "Ok, sono un artista che disegna cerchi". Dopodiché ti blocchi lì e quella diventa la tua etichetta. Hai una galleria, un mecenate e tutto. E la tua vita finisce lì. E chissà, magari il prossimo anno passerai ai triangoli o una cosa del genere. C’è una tale mancanza di idee. Ma se vai avanti e continui per tipo dieci anni, allora la gente si rende conto che sei uno che tira avanti per dieci anni e magari ti danno anche un premio. ( Ridacchia) È una routine ridicola».
Lennon: «Il premio più importante te lo danno quando ti ammali di cancro dopo aver disegnato cerchi o triangoli per vent’anni».
Ono: «E poi muori».
Lennon: «Esatto. Il premio più importante è quando muori, un premio importantissimo perché sei morto in pubblico. Ok, queste sono le cose che non ci interessano.
Ecco perché siamo finiti a fare cose come i bed-in, e Yoko è finita a fare musica pop. Nei nostri primi tentativi di lavorare insieme e produrre cose insieme, che fossero bed-in, manifesti o film, ciascuno si è spinto nel territorio dell’altro, come chi passa dalla musica country al pop. Noi siamo passati dall’avanguardia di sinistra al rock ’n’roll di sinistra. Abbiamo cercato un terreno che fosse interessante per entrambi. E tutti e due ci siamo entusiasmati e abbiamo tratto grande stimolo dalle esperienze reciproche. Le cose che abbiamo fatto insieme erano tutte variazioni dello stesso tema.
Volevamo capire che cosa potevamo fare insieme perché volevamo restare insieme. Volevamo lavorare insieme.
Non vogliamo stare insieme solo nei fine settimana.
Vogliamo stare insieme, vivere insieme e lavorare insieme. Quindi il primo tentativo sono stati i bed-in.
Avevamo anche provato a fare musica insieme, ma è stato molto tempo fa. La gente aveva ancora l’idea che i Beatles fossero una cosa che non doveva uscire dal proprio ambito, e per noi all’epoca è stato molto difficile lavorare insieme».
«Avrei potuto continuare a fare l’artigiano, ma a me non interessa fare l’artigiano, anche se rispetto gli artigiani e tutto. E non mi interessava dimostrare di essere in grado di sfornare un disco ogni sei mesi come…».
Come Paul (McCartney)?
Lennon: «Non solo Paul. Come tutti. Così l’esperienza di fare il padre a tempo pieno mi ha ridato lo spirito. Non mi sono accorto di quel che stava succedendo. Ma a un certo punto ho fatto un passo indietro e mi sono detto: "Che cosa è successo? Siamo qui: io compio quarant’anni, Sean cinque. Che bello! Siamo sopravvissuti!". Tra poco compio quarant’anni e la vita comincia a quarant’anni, così dicono. Oh, ma ci credo anch’io. Perché mi sento bene».
«Avevo troppa paura di lasciare i Beatles, anche se ci pensavo dal ’65, quando smettemmo di fare concerti. E forse per Paul era la stessa cosa, non lo so. Non sono in grado di parlare per gli altri. Ma, ehm, avevo fatto un film di Dick Lester, Come ho vinto la guerra, che non ha avuto molto successo ma a me è servito moltissimo. Sì, mi è servito moltissimo staccarmi, e in effetti è stato un ritiro.
Ero a Almeria, in Spagna. Tra parentesi è lì che ho scritto Strawberry Fields. Nelle sei settimane in cui sono rimasto a Almeria, ho avuto tempo per pensare e tenermi lontano dagli altri, ma comunque ho continuato a lavorare e non ero a casa da solo. E mentre ero lì, come capita a un sacco di gente, ho cominciato a chiedermi: "Ma se smetto di fare questa cosa, che altro potrei fare?". Quindi dal ’65 in avanti ho iniziato in qualche modo a cercare un posto in cui andare, ma non avevo davvero il fegato di cominciare da solo, quindi ho continuato a rimandare. Ci giravo intorno e quando l’ho incontrata e mi sono innamorato ho pensato: "Oh Dio! Ma questo è diverso da tutto quel che ho vissuto sinora. È tutta un’altra storia. Non so che cosa sia ma va bene così". ( Ride e alza lo sguardo al cielo).
Grazie, grazie, grazie. È ben più di un disco di successo.
Vale più dell’oro, vale più di qualsiasi cosa. È ben più di… È indescrivibile. Ecco che cosa è successo. Abbiamo cominciato a pensare solo a noi stessi. Quindi sono riuscito a liberarmi dai Beatles fisicamente ma non mentalmente. Mentalmente, ce li avevo sempre in un angolo, in un angolo, in un angolo del cervello, anche se l’amore all’inizio cancella tutto: tutto viene illuminato da una luce meravigliosa e vorresti che tutti fossero felici come te. Dà le vertigini. Col tempo l’amore cambia e si può rallentare un po’. Non è che ce ne sia di meno, solo è diverso. Così sono riuscito a scrollarmi di dosso lo schifo che mi portavo ancora dietro e che influenzava il mio modo di pensare, il mio modo di vivere e il resto. Per liberarmi dai Beatles mentali, chiamiamoli così, mentali, o dagli anni Sessanta, o quel che era. Quindi la prima fuga è stata fisica. La seconda è stata una fuga mentale».


Ma tu te ne eri andato, a quanto pareva completamente, già con "Plastic Ono Band".
Lennon: «Sì, ma continuavo a portarmi dietro i Beatles, come continuava a portarseli dietro un sacco di gente… "Quando torneranno insieme?", "Che ne pensi di Paul?".
Sai, io non credo che…».
Mentre andavamo in studio, oggi, alla ragazza che ti ha chiesto «Che ne pensi di Paul?» hai risposto: «Quando torni al liceo?».
Lennon: «È la stessa cosa. La mia vecchia band. È tutto finito. Conoscere Yoko è stato come quando conosci per la prima volta una donna, molli i ragazzi al bar, non vai più a giocare a calcio, lasci perdere lo snooker e il biliardo. Forse ad alcuni piace ancora andarci, tipo il venerdì sera, e continuano a tenere i contatti con i ragazzi, ma una volta che io ho trovato la donna, i ragazzi per me hanno perso qualsiasi interesse, erano sono dei vecchi amici.
Tipo: "Ciao, come va? E come sta tua moglie?". Cose così.
Sai quella canzone che fa: Those wedding bells are breaking up that old gang of mine. Be’, a me non è successo fino all’età che avevo quando ho conosciuto Yoko, cioè fino a ventisei anni. Ci siamo conosciuti nel Sessantasei, ma l’impatto vero non… non ci siamo sposati che nel ’68, giusto? Si mescola tutto come in un film, maledizione!
Comunque, è andata così. Nel momento in cui l’ho conosciuta, la vecchia band è finita. All’epoca non ne ero consapevole, però è successo. Appena l’ho incontrata, con i ragazzi è finita, solo che i ragazzi erano famosi, non erano semplicemente gli amici del bar. Erano ragazzi che conoscevano tutti. Ma era la stessa cosa… però la gente si è arrabbiata da morire, si è infuriata!».
Visto dall’esterno, non sembrava che le chiacchiere vi scalfissero molto.
Lennon: «Ci scalfivano eccome. Siamo tutti e due persone sensibili, e molto di quel che è stato detto ci ha feriti entrambi. All’inizio non riuscivamo a capire. Non riuscivamo proprio a capire. Insomma, se qualcuno comincia chiedendo: "Perché stai con quella donna orribile?" o una cosa del genere, rispondi: "Ma che cosa stai dicendo? Io sto con la dea dell’amore, è la realizzazione di tutta la mia vita! Perché dici una cosa del genere? Perché c’è qualcuno che mi vuol punire per essermi innamorato di lei?"».
Perché qualcuno vuole tirare una pietra alla tua bolla di vetro?
Lennon: «Esatto!!! Perché vogliono fare una cosa del genere? Il nostro amore è sopravvissuto a tutto questo, ma è stato un momento davvero violento».
Ma che ne pensi dell’insinuazione che John Lennon sia stato circuito da Yoko, che sia sotto il suo controllo?
Lennon: «Be’, sono idiozie. Non c’è nessuno che mi controlla. Io sono incontrollabile. L’unico in grado di controllarmi sono io stesso, e già non è facile».
Ono:
«Ovviamente è un enorme insulto rivolto a me…».
Lennon: «Be’, tu sei sempre insultata, cara mogliettina. È naturale…».
Ono: «Perché mi dovrebbe interessare controllare chicchessia?».
Lennon: «Lei non ha bisogno di…».
Ono: «Io ho la mia vita…».
Lennon: «Lei non ha bisogno di uno dei Beatles. Chi mai dovrebbe aver bisogno di uno dei Beatles?».
Ono: «La gente pensa davvero che io sia una tale stronza? John ha resistito due mesi con Maharishi. Due mesi! Io devo essere la più stronza del mondo visto che stiamo insieme da tredici anni».
Lennon: «Nessuno ha mai neanche accennato al fatto che Paul mi avesse circuito, o che io avessi circuito Paul!
Nessuno ha mai pensato che fosse strano… nemmeno allora. Due ragazzi insieme oppure quattro ragazzi insieme! Perché nessuno ha mai detto: "Come mai quei ragazzi non si dividono? Cioè, che cosa succede nel backstage? Che cos’è questa storia di John e Paul? Come fanno a restare insieme per tutto questo tempo?".
All’inizio abbiamo trascorso ben più tempo insieme di John e Yoko. Dormivamo tutti e quattro nella stessa camera, praticamente nello stesso letto, nello stesso furgone, vivevamo insieme giorno e notte, mangiavamo, cacavamo e pisciavamo insieme. Chiaro? Facevamo tutto insieme. Ma nessuno ha mai fatto un cazzo di cenno alla possibilità che qualcuno ci circuisse. Forse si diceva che Brian Epstein o George Martin ( rispettivamente produttore e manager dei Beatles) ci circuivano. Bisogna sempre trovare qualcuno responsabile di averti fatto qualcosa. Sai, ci si congratula con gli Stones perché sono insieme da centododici anni. Hurrah! Per lo meno Charlie e Bill hanno ancora una famiglia. Negli anni Ottanta ci si chiederà: "Ma perché quei ragazzi stanno ancora insieme? Da soli non ce la fanno? Perché devono essere sempre circondati da una band? Il capetto ha paura che qualcuno lo accoltelli alle spalle?". Questo si chiederanno. Ripenseranno ai Beatles e agli Stones e quei ragazzi sembreranno delle reliquie. I tempi in cui le band erano formate solo da maschi saranno qualcosa da mostrare ai cinegiornali. Faranno vedere la foto del tipo con il rossetto che dimena il culo e dei quattro con gli occhi tutti truccati di nero per sembrare cattivi e lussuriosi. Questa sarà la barzelletta, in futuro, non la coppia che canta, vive o lavora insieme. Quando hai sedici, diciassette, diciotto anni va bene avere amici maschi e idoli, okay? È una cosa tribale, è una band, e va tutto bene. Ma se continui così anche quando hai quarant’anni, significa che nella testa hai ancora sedici anni».
Perché è così impensabile che i Fab Four tornino a suonare insieme?
Lennon: «Pensare che i Beatles possano tornare insieme è illusorio. Sono passati dieci anni. I Beatles esistono solo nei film, sui dischi e nella testa della gente. Noi non siamo più quelle quattro persone lì. Comunque, perché dovrei tornare indietro di dieci anni per dare vita… per dare vita a un’illusione che so benissimo che non esiste».
Lasciamo perdere l’illusione. Se fosse solo per suonare?
Lennon: «Perché i Beatles dovrebbero dare altro? Non hanno già dato tutto su questa terra per dieci anni? Non hanno dato anche se stessi? Non hanno dato tutto? Da un certo punto di vista, sei come il tipico fan tutto odio e amore che dice: "Grazie per quel che avete fatto per noi negli anni Sessanta. Ma mi date ancora qualcosa, mi date un’altra possibilità? Ancora un miracolo? La prima volta non mi è bastato". Continuerò a parlare dei Beatles per sempre. Ne discuterò dal punto di vista intellettuale, di quel che significano e di quel che non significano. Questo non mi disturba. Però mi disturba che ci sia chi crede che li possiamo ricreare apposta per loro, per i ragazzini che continuano a scrivermi dicendo: "Ho solo quattordici anni e me li sono persi". Mi sembra patetico. Io dico, lascia perdere. Ascolta i dischi dei Beatles ma vatti a cercare i Queen, i Clash o chiunque ci sia adesso. E per quelli che li vogliono far rivivere, "Fate risorgere i Beatles" eccetera, per quelli che prima di tutto non hanno capito i Beatles e gli anni Sessanta, per loro che cazzo dobbiamo fare?
( Appassionatamente, a ritmo). Dobbiamo di nuovo moltiplicare il pane e i pesci? Dobbiamo farci crocifiggere, di nuovo? Dobbiamo camminare di nuovo sulle acque perché un bel po’ di idioti la prima volta non l’hanno visto o quando lo hanno visto non ci hanno creduto? È questo che chiedono: "Scendete dalla croce.
La prima volta non l’ho capito. Potete rifarlo?". Non se ne parla. Non si possono fare le cose due volte. Che storia è?
Non si può. Non esiste. Non è che stiamo nascondendo qualcosa, è che non abbiamo più niente e non c’è niente da nascondere. E comunque non è mai stato qualcosa in nostro possesso. Esisteva e basta. Questo lamentio sui Beatles è lo stesso dei nostri genitori che non smettevano mai di parlare della Seconda guerra mondiale. Be’, adesso basta, è finita. La guerra è finita, gli anni Sessanta sono finiti, i Beatles sono finiti, è la stessa cosa».
© 1981 Playboy Enterprices, Inc.
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© 2020 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzione di Nico Perre