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 2020  novembre 28 Sabato calendario

Cina-India, guerra dei ponti alle Maldive

Tra strisce di sabbia bianca, acque turchesi e barriere coralline il piccolo ma strategico arcipelago delle Maldive è soltanto l’ultimo paradiso in terra dove si combattono, per ora a colpi di infrastrutture, i due più grandi Paesi dell’Asia attualmente in conflitto armato sulle nevi dell’Himalaya. Da quando nel 2018 la Cina ha ultimato con 200 milioni di dollari il “Ponte dell’amicizia” di 2,1 chilometri che collega la capitale Malé all’isola artificiale dell’aeroporto Hulhumalé, l’India non vedeva l’ora di costruirne uno più lungo attraverso gli atolli non distanti dalle coste sud occidentali. Grazie al nuovo regime maldiviano il sogno si sta realizzando: il ponte Made in India sarà lungo oltre tre volte quello cinese.
Era ben più che una questione di orgoglio architettonico viste le implicazioni geopolitiche di queste isole distese per quasi 900 km sull’Oceano indiano e ambite dagli stessi Usa di Donald Trump, che non a caso aveva spedito di recente a Malè il segretario di Stato Mike Pompeo. Del resto è qui che passa metà del greggio importato e l’80% degli scambi commerciali di Delhi, un tempo contraria alla presenza degli Usa e oggi loro alleata nel tentativo di strappare alla Cina il maggior numero di aree di influenza.
A eliminare l’ostacolo costituito dall’ex presidente filo-Pechino Abdulla Yameen hanno contribuito diversi scandali. Proprio nell’anno di apertura del Ponte dell’Amicizia l’autoritario uomo politico perse le elezioni e pochi mesi dopo finì in cella dopo aver indebitato il Paese verso le banche “comuniste”. Da qui la controffensiva di Delhi che ha trovato un solido alleato nell’attuale capo di Stato Ibrahim Mohamed Solih e lo scorso agosto – dopo aver promesso un piano complessivo per un miliardo e mezzo di aiuti post-Covid – ha potuto annunciare il sorpasso nelle dimensioni del nuovo ponte “Made in India”. Costerà 500 milioni di dollari e con i suoi 6,7 km collegherà Malè a Vilingili, Gulhifalhu e Thilafushi in direzione ovest.
La soddisfazione indiana è rafforzata dal fatto che le acque maldiviane sono anche al cuore delle vie di transito di oltre il 60% del petrolio e altre materie acquistate dalla Cina in Medio Oriente e Africa. Ma oltre alla difficoltà di reperire le risorse finanziarie per vincere la battaglia sulla lunghezza dei ponti (il Pil si è ridotto di quasi il 24% in pochi mesi di quest’anno), Delhi farà fatica a contrastare il dominio cinese sulle rotte a sud del suo continente.
Le Maldive non riusciranno a liberarsi facilmente – nemmeno coi promessi finanziamenti indiani – dei prestiti contratti con la Cina alla quale il governo di Malé deve ripagare prima o poi oltre il 50 per cento dell’intero ammontare dei debiti esteri, pari alla metà del Pil. Cinesi sono le imprese che hanno ampliato con 800 milioni di dollari l’aeroporto e gli appaltatori dei 7000 appartamenti costruiti sull’isola di Hulhumalé. E cinesi saranno potenzialmente, come lo sono stati prima della crisi, i turisti che potrebbero riaffollare gli idilliaci atolli.