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 2020  novembre 27 Venerdì calendario

Il problema dei maxi collegi elettorali

Collegi uninominali che arrivano fino a comprendere un territorio di un milione e duecentomila abitanti, e che quindi dello spirito del collegio uninominale non hanno più nulla. Se si pensa che con il vecchio Mattarellum i collegi erano di 120mila abitanti circa alla Camera e di 200mila al Senato si ha un’idea dell’impatto del taglio del numero dei parlamentari sull’attuale legge elettorale, il Rosatellum, che prevede il 37% di collegi uninominali (il resto sono circoscrizioni proporzionali plurinominali). Il ridisegno dei collegi fatto dal governo secondo la delega prevista all’articolo 3 della legge 27 maggio 2019 e che deve essere esercitata entro il 4 gennaio – un atto dovuto dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della riforma costituzionale approvata con il referendum del 20 e 21 settembre scorso – conferma plasticamente quello che già si sapeva: l’attuale legge elettorale mal si concilia con un Parlamento ridotto a 600 membri (400 alla Camera e 200 al Senato) rispetto ai 945 attuali.
Certo, come nota il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti, se alla fine si dovesse tornare alle urne nel 2023 con il Rosatellum i collegi andranno comunque ridisegnati dopo il censimento Istat del prossimo anno. Ma la sostanza non cambierà: collegi uninominali troppo grandi e quindi perdita del rapporto tra elettori ed eletto sul territorio, rapporto che invece la scelta di sistemi con collegi uninominali – dove cioè viene eletto chi arriva primo – intende incentivare. Non solo: la campagna elettorale dei candidati su territori così vasti rischia di moltiplicare alle stelle i costi. Con la conseguenza che nella maggior parte dei casi saranno soprattutto i partiti a”coprire”, anche mediaticamente, la campagna dei candidati.
«Il ridisegno dei collegi dimostra una cosa sopra tutte: ossia che l’impianto del Rosatellum non regge al ridotto numero dei parlamentari e quindi che la legge elettorale va cambiata», commenta il dem Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato e principale sherpa nella trattativa sulla riforma del sistema di voto all’interno della maggioranza. Trattativa che nelle scorse settimane si è incagliata per le resistenze di Leu e di Italia Viva dall’altra, comprensibilmente timorosi a portare avanti il proporzionale Germanicum per la presenza di una soglia giudicata troppo alta: il 5%.
Non solo perdita del rapporto tra elettori ed eletto e aumento dei costi della campagna elettorale. Le conseguenze del taglio del numeri dei parlamentari sul Rosatellum hanno l’effetto di comprimere la rappresentanza al Senato, dove l’elezione deve avvenire per Costituzione su base regionale (in alcuni casi il collegio uninominale coincide con l’intera regione): nelle regioni più piccole anche nelle circoscrizioni proporzionali plurinominali riusciranno ad eleggere rappresentanti solo le prime due forze politiche. «In alcuni casi resterebbero fuori anche liste del 20%», avverte Parrini. Per questo – insiste il senatore dem – è urgente approvare subito, a prescindere dalla riforma del Rosatellum per la quale forse occorrerà più tempo, i “correttivi” costituzionali pensati per ridurre gli effetti negativi più vistosi del taglio del numero dei parlamentari: ossia la riduzione dei delegati regionali chiamati ad eleggere il Capo dello Stato in seduta comune (ora sono 57) e soprattutto il Ddl Fornaro, che elimina l’obbligo della base regionale per l’elezione del Senato permettendo dunque circoscrizioni pluriregionali a tutela delle minoranze e del pluralismo.
C’è infine sul tavolo la parificazione a 18 anni dell’età per eleggere sia Camera sia Senato (ora a 25): nessun rapporto diretto con la “sforbiciata” voluta dal M5s, ma è comunque una riforma utilissima per parificare la platea elettorale delle due Camere e ridurre così pressoché a zero il rischio di maggioranze diverse come più di una volta accaduto negli ultimi lustri (in modo plateale nel 2013, quando il centrosinistra ottenne il premio alla Camera ma non ebbe la maggioranza in Senato).