La Stampa, 27 novembre 2020
Dieci anni senza Monicelli
(…) Non c’è attrice che, del lavoro con Mario Monicelli, non descriva l’intesa autentica, lo spirito acuto, la gentilezza celata sotto i modi ruvidi: «Dicevano che Monicelli trattasse male gli attori – racconta Margherita Buy, in una testimonianza raccolta da Luca Pallanch nell’ultimo numero della rivista Bianco e nero, interamente dedicata al maestro -, a me non è mai capitato, non ha mai detto cose sgradevoli, anzi, con me era molto carino e gentile. Certo, non faceva complimenti, né avrebbe potuto farne vista la sua fama, però qualche complimentino nascosto io l’ho colto». Lo stile burbero lasciava trasparire delicatezze da cogliere al volo, magari nel bailamme di un set: «In Parenti serpenti – ricorda Marina Confalone – stava dietro la macchina da presa e io, pur non vedendolo, sentivo che faceva il tifo per noi. Sentivo il suo sorriso». Per Ornella Muti, diretta in Romanzo Popolare, l’incontro con il regista, e poi le riprese del film, coincisero con la prima gravidanza: «Scoprii di esser incinta di Naike – ha raccontato in un colloquio con Albero Crespi -, chiamai Mario e gli dissi che era meglio che cominciasse a trovare una sostituta. Mi rispose “Ma sei pazza? Vieni qui, ti sbrigo e poi fai quello che vuoi”. Disse proprio così “ti sbrigo”, mi fece capire, nel suo modo brusco e senza perdite di tempo, che ci teneva, che mi aveva scelto e che non voleva rinunciare a me. Fu un’enorme iniezione di fiducia». (…)
Alle donne della sua vita vera, Mario Monicelli (che domani sarà ricordato dal Tff con interventi del direttore Stefano Francia di Celle e di Stefano Della Casa) aveva riservato lo stesso cocktail di ironia e sincerità, uno sguardo lucido, mai assolutorio, soprattutto se si trattava di se stesso. La compagna Chiara Rapaccini racconta gli ultimi anni, le frequenti visite in ospedale, l’irrequietezza: «Spesso mi chiedeva “come mai non muoio mai? Guarda che ho quasi cento anni, sono sazio dei giorni. Non penserai di preparami la torta di compleanno con le cento candeline e le tv locali che mi fanno l’intervista sulla poltrona a rotelle? Non crederai che io mi presti a queste pagliacciate?"». La scelta finale, lanciarsi dal quinto piano dell’ospedale romano in cui era ricoverato, suona oggi come la risposta logica a quelle ansie. Un dolore grande, una perdita immensa, ma anche l’ultima prova di una coerenza indomita.