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 2020  novembre 26 Giovedì calendario

Maradona e il cinema

«Anche io sono mancino» dice Diego, occhiali da sole, cappellino e un corpo fuori misura. Si muove lento in una piscina sospesa nel tempo, ha sentito una parola che suona come una sveglia: “mancino”. Quel Maradona obeso e disperato, quello citato da Paolo Sorrentino nel film Youth, chiede al mondo di non essere mai scordato. Poco dopo, col sinistro, palleggia con una pallina da tennis che arriva in cielo e poi cade giù. È un cameo, una carezza del regista legato per sempre al Pibe. L’omaggio di Sorrentino mentre teneva in mano l’Oscar ha fatto storia, ma l’argentino per lui ha fatto molto di più. Gli ha salvato la vita: era il 1987, Paolo aveva quasi 17 anni e viveva al Vomero coi genitori. Per una volta riuscì ad avere il permesso per seguire in trasferta Maradona e non andò con la famiglia nella loro casa di Roccaraso. Ma ad Empoli Sorrentino non arrivò mai, era ancora a Napoli quando citofonò il portiere del palazzo: i genitori erano morti nel sonno, colpa di una stufa.

Così fino a ieri Diego ha avuto il potere di allontanare la morte: nessuno come Sorrentino lo sa e, proprio in questi giorni, lo sta ricordando tra i vicoli di Napoli. Il suo attesissimo prossimo lavoro per Netflix si chiama È stata la mano di Dio. Si gira in città, ci mancherebbe, e il legale del Pibe si era subito affrettato a minacciare le vie legali per uso non autorizzato del nome. Ma questo film va oltre: è il Sorrentino devoto a Maradona che apre il suo cuore. Racconta una vita travolta dal fato ma salvata dalla mano di Dio.

La vita di Diego è stata essa stessa arte. È musica: dall’omaggio del tifoso Manu Chao («Il mondo è una palla che si vive a fior di pelle») a La Mano de Dios, ballata del cantante argentino Rodrigo che ha fatto il giro del mondo. È una montagna di libri, dall’ autobiografia Io sono el Diego all’ultimo scritto per i suoi 60 anni dall’amico Ciro Ferrara (Ho visto Diego e dico ‘o vero). Ma è soprattutto immagine potente, è cinema: nessun altro calciatore è stato rappresentato così tanto. Recentemente Netflix ha dedicato una serie al Diego allenatore dei Dorados di Sinaloa, in Messico. Nel Maradona di Kusturica, film-docu del 2008, c’è un filo teso tra il campione argentino e il regista slavo, uniti dallo stesso spirito anticonformista. «Sono come un attore, vivo la vita che voglio vivere», confessa a un certo punto Diego. Marco Risi ha dedicato al suo mito un film più tradizionale: il campione ha il volto di Marco Leonardi e diventa quasi uno scugnizzo scanzonato. Ricoverato in ospedale dopo l’ennesima crisi, riavvolge la vita, dai sogni del bambino ai trionfi, passando per le cadute rovinose. Asif Kapadia, maestro dei docufilm, ne ha realizzato uno magnifico nel 2019: Diego Maradona è una immersione nel settennato napoletano con un incredibile materiale inedito. «C’era Diego e c’era Maradona. Col primo andrei sino alla fine del mondo. Col secondo non farei neppure un passo», dice il preparatore atletico e fedele amico, Fernando Signorini. Il campione e il suo doppio, l’eterna contraddizione. Ormai tutto si unisce nel ricordo, perché nessuno potrà mai dimenticare. Basterebbe tornare alla piscina di Youth per capirlo: «Tutto il mondo sa che lei è mancino», è la risposta, ovvia, a quel Diego smisurato. Eterno.